La scelta di Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, a capo della Conferenza delle Regioni italiani avviene in un momento drammatico, per quanto riguarda la pandemia, nella terra di confine a Nordest. Fedriga, sul cui nome c’è stata convergenza di tutte le 15 regione amministrate dal centrodestra per sostituire Stefano Bonacini dell’Emilia Romagna, sale al vertice della Conferenza in una fase in cui non c’è solo la questione sanitaria da gestire, ma anche quella della ripresa economica e sociale con i progetti del Recovery Fund. Quando a settembre Luca Zaia fu rieletto con quasi il 76 per cento dei voti, alla domanda su una sua ambizione a subentrare a Bonaccini, aveva risposto di non averci pensato, nonostante allora il Veneto avesse affrontato la prima fase della pandemia con migliori risultati rispetto ad altre regioni.

Ma a pensarci sono stati i vertici della Lega, che controlla tre delle regioni del Nord e la provincia autonoma di Trento. Fedriga è l’uomo perfetto per Matteo Salvini. Fosse stato scelto Luca Zaia, probabilmente il segretario avrebbe avuto qualche mal di pancia, vista la visibilità nazionale che l’incarico avrebbe dato al leghista veneto. Invece Fedriga non ha controindicazioni all’interno del movimento, anche se questi ultimi mesi hanno dimostrato che il Friuli, per percentuale di casi e di decessi, non stia dando prova di una reazione sanitaria particolarmente efficace. La popolazione amministrata da Fedriga, con un milione 200 mila abitanti, è circa un quarto (24,7%) di quella del Veneto (4,9 milioni). Ma in Friuli i 3.453 decessi corrispondono al 31,8% dei 10.861 del Veneto, mentre i casi (100.473) sono più allineati con la popolazione, il 25,6 per cento di quelli del Veneto (392.294).

Fedriga è un leghista perfetto, non foss’altro perchè prese la tessera nel 1995, a soli 15 anni, prima ancora che nel 1996 Umberto Bossi lanciasse la parola d’ordine della Padania Libera. Nato a Verona nel 1980, ha poi percorso tutte le tappe: segretario provinciale nel 2003, deputato dal 2008 al 2018, candidato sindaco di Trieste nel 2011 (con la Lega che correva da sola). Sostanzialmente è un leghista fedele (al segretario Salvini, come lo è stato con Bossi e Roberto Maroni) e istituzionale. A parte una famosa sospensione dall’aula di Montecitorio per 15 giorni ai tempi in cui il Parlamento discuteva lo ius soli, Fedriga è apparso meno ideologico ed esasperato di altri leghisti. Dal 2018 gestisce in modo pragmatico la Regione Friuli. E’ meno autonomista di Zaia ma solo perché l’autonomia è già insita al Dna costituzionale della sua Regione, che è a Statuto speciale. Da quando è cominciata la pandemia, ha iniziato un braccio di ferro con l’amministrazione centrale dello Stato per i trasferimenti di denaro, risorse e competenze, ed è diventato il capofila nella richiesta di riduzioni ai tagli imposti alle Regioni per contribuire alla spending review nazionale.

Che Fedriga fosse in fase di avvicinamento verso un incarico che deve cucire i rapporti tra Regioni e delle Regioni con lo Stato, lo si era capito un mese fa. Partecipando alla presentazione di un libro aveva dichiarato: “L’emergenza pandemica ha portato a un clima di maggiore solidarietà e condivisione tra i territori, tale da trasformare la Conferenza delle Regioni da un’istituzione di stampo per lo più notarile, a un soggetto fortemente operativo, le cui decisioni sono il risultato di un confronto leale e collaborativo”. Il riferimento alla solidarietà e unità tra Regioni non poteva non colpire, visto che negli stessi giorni in consiglio regionale a Venezia i leghisti suonavano un’altra musica, accusando il Meridione di voler fare la parte del leone nella partita miliardaria del Recovery Plan, e rivendicando addirittura un divisione dei piani di investimento in base al Pil prodotto.

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