Aver nascosto “la disastrosa gestione della società, così evitando la messa in liquidazione e ottenendo la riconferma nella carica amministrativa”. E aver esposto, nel bilancio 2013, “fatti materiali non corrispondenti al vero”, iscrivendo perdite per appena 35mila euro a fronte di un ammontare reale che sfiorava il milione e mezzo. Sono le accuse contenute nell’avviso di conclusione indagini – preludio alla richiesta di rinvio a giudizio – recapitato ai sette indagati per il crac della Ameglia Servizi Turistici srl, società partecipata del comune ligure di Ameglia (5mila abitanti al confine con la Toscana) che gestiva il porticciolo turistico di Bocca di Magra, fallita nel 2017 lasciando un buco contabile da 3 milioni. Tra loro due volti noti della politica locale: l’assessore regionale all’ambiente Giacomo Giampedrone, sindaco di Ameglia tra il 2014 e il 2015, e il vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi, super-assessore a Bilancio e Lavori Pubblici che dal 2014 al 2016 sedeva nel consiglio d’amministrazione della partecipata.

Per entrambi l’ipotesi di reato è di bancarotta semplice: secondo il pm di La Spezia, Rossella Soffio, hanno “aggravato il dissesto della società astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento” e deliberato “di coprire le perdite conferendo a bilancio beni del Comune di Ameglia”, per di più gonfiando il valore di alcuni immobili con l’applicazione di quote di ammortamento illegali. I due assessori sono forse gli uomini più vicini ai propri diretti superiori, il governatore Giovanni Toti e il sindaco di Genova Marco Bucci: Toti – residente da anni ad Ameglia – volle l’allora sindaco Giampedrone in giunta con un ruolo di primo piano fin dal 2015, confermandolo nella nuova squadra e lanciandolo come proprio erede politico, mentre Piciocchi è stato promosso vicesindaco da Bucci lo scorso settembre, aggiungendo la carica a un già nutrito elenco di deleghe. In caso di processo, entrambi rischiano fino a due anni di carcere.

Sono invece accusati di bancarotta fraudolenta (e rischiano fino a cinque anni) gli altri membri del cda Armanda Chilà, Massimo Costa e Alessio Frati, mentre è stata stralciata e va verso l’archiviazione la posizione dei due successori di Giampedrone sulla poltrona di sindaco. La Guardia di Finanza evidenzia uno per uno i falsi contenuti del bilancio 2013, il primo dichiarato in perdita, che secondo la Procura è alla base del crac: oltre al rosso di 1 milione e 347mila euro, accumulato fin dal 2008 e sempre nascosto ai soci, ci sono crediti gonfiati fino a 990mila euro, quando – scrivono gli inquirenti – superavano di poco i 360mila. Ancora, si legge, mancavano all’appello “ratei e riscontri passivi per 250mila euro”. Nel tempo la partecipata aveva accumulato sempre più incarichi, arrivando a gestire anche i servizi di parcheggio pubblico, pulizia delle strade e trasporto scolastico. A fine 2016, quando la società entrò in liquidazione dopo una lunga agonia, il passivo era schizzato a 3 milioni 259mila euro.

“Attendo tranquillo e fiducioso il lavoro dei magistrati, certo delle mie buone ragioni”, commenta Giampedrone. “Nel breve mandato da sindaco, da giugno 2014 a luglio 2015, ho agito per l’interesse pubblico, nel pieno rispetto delle leggi, per porre rimedio a situazioni ampiamente deteriorate nel tempo antecedente all’arrivo della mia giunta. Ora che sono chiuse le indagini, avrò modo di fornire ulteriori elementi utili alla comprensione dei fatti e del quadro di diritto. Sono certo di aver agito nel pieno rispetto delle leggi vigenti e ho piena fiducia che tutto ciò verrà presto chiarito”. A maggio 2019, quando era trapelata la notizia dell’indagine, Giampedrone e Piciocchi avevano rilasciato una nota congiunta in cui sostenevano di aver applicato “i criteri di trasparenza e corretta amministrazione”, portando alla luce “debiti occulti accumulati nelle precedenti gestioni” e attivandosi “per mettere in sicurezza i posti di lavoro e salvaguardare i servizi essenziali alla cittadinanza”.

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