Baci, abbracci, strette di mano e una chiacchierata in disparte prima di andare via. Un faccia a faccia tra l’esponente di Italia Viva Luca Sammartino, già deputato e poi rieletto all’Ars con il record di 32mila preferenze, e il boss del clan Laudani Girolamo Lucio Brancato, scarcerato da qualche anno dopo pesanti condanne per mafia ed estorsione. Il tutto a pochi giorni dalle regionali 2017 in Sicilia. È quello che sarebbe successo, almeno secondo le accuse. Il racconto di quell’incontro, infatti, è contenuto negli atti dell’inchiesta antimafia Report della procura di Catania sui clan attivi nella provincia etnea. Brancato da ieri è finito dietro le sbarre mentre a Sammartino è stato notificato un avviso di conclusione indagini per corruzione elettorale.

Per i magistrati il patto tra i due prevedeva il sostegno elettorale di Brancato e della sua famiglia in cambio di due utilità: l’assunzione per tre mesi del nipote del boss nella società dei rifiuti Mo.Se.Ma e la rimozione di una vecchia cabina telefonica. Un rudere che l’uomo considerava troppo ingombrante perché posizionato proprio a ridosso del futuro ingresso di un bar che, all’epoca dei fatti, aveva intenzione di aprire. I termini dell’accordo, secondo i magistrati Tiziana Laudani e Marco Bisogni, erano stati definiti a pochi giorni dalla chiamata alle urne. Era il 28 ottobre 2017 quando secondo le accuse Sammartino si è recato nella pizzeria gestita dalla moglie di Brancato: “Entra e mi ha baciato, ha baciato a tutti – racconta l’indomani mentre è intercettato – gli ha dato la mano a tutti. Poi mi fa ‘mi accompagni?’, minchia mi sono alzato e l’ho accompagnato”. Rimasti da soli scatta la richiesta dopo le rassicurazioni sui voti: “Mi ha risposto: non ti preoccupare è fatta, come se già fosse fatto”.

Terminate le elezioni, e con Sammartino eletto deputato con la lista del Partito democratico, cominciano le pretese del boss. Primo destinatario un ex assessore al Comune di Pedara e fidatissimo collaboratore del politico. “Domani ha il ringraziamento al palaghiacchio”, lo avvertiva riferendosi all’evento in cui il 17 novembre 2017 presero parte anche il capogruppo di italia viva al Senato, Davide Faraone, e l’attuale ministro della Difesa Lorenzo Guerini. “Poi ci dobbiamo sedere e gli dico io cosa voglio”, replicava intercettato Brancato battendo i pugni sul tavolo e alludendo alla pretesa di un incontro con Sammartino. Stando alla ricostruzione dei magistrati i due si sono effettivamente visti ma con Brancato nelle vesti di paziente all’interno dello studio odontoiatrico del deputato. “L’ho visto lunedì”, confermava Sammartino al collaboratore mentre erano intercettati. “Basta, basta, tranquillo questa me la sbrigo io”, aggiungeva.

I tempi però si sarebbero allungati indisponendo non poco il boss dei Laudani, particolarmente preoccupato soprattutto per la questione cabina telefonica. “Più tardi gli chiamo e mi deve fare parlare con Luca – diceva – perché mi deve fare levare questa spacchio di cabina per come mi ha detto lui”. In realtà Sammartino per la cabina si sarebbe attivato ma non direttamente. L’incaricato sarebbe stato il suo collaboratore e di rimando il presidente del Consiglio comunale di Mascalucia, territorio in cui ricadeva il rudere. Così sul tavolo degli uffici Telecom di Napoli arrivò una richiesta ufficiale di spostamento. I tempi della burocrazia però in Italia sono particolarmente lunghi ecco perché alla fine Brancato decise di fare da solo. “Gli ho messo una bomba – raccontava orgoglioso al figlio dopo alcuni giorni – sono scoppiati tutti i vetri, se n’è caduto il tetto”. Terminata la “procedura” quasi dodici mesi dopo Brancato presenziava, come dimostrano numerose foto pubblicate su Facebook, al taglio del nastro della nuova attività commerciale. Naturalmente senza l’ingombro di quella cabina saltata in aria.

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