Tanta burocrazia e nuovi costi fissi. Troppi, per migliaia di associazioni di volontariato che il governo vorrebbe costringere a sottostare all’imposta sul valore aggiunto. Con l’obbligo di giustificare l’eventuale esenzione e dunque la necessità di entrare in un sistema di rendicontazione. Dal bar di paese al doposcuola, dalle attività sportive ai circoli ricreativi, sono circa 150mila gli enti non commerciali del terzo settore che secondo quanto previsto dalla nuova legge di bilancio sarebbero obbligati ad aprire la partita iva e affidarsi a un commercialista. “Sarebbe un colpo devastante per gran parte del mondo del no profit già provato dalla crisi generata dalla pandemia”, dice Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del terzo settore. Il fisco non incasserebbe nulla, ma le attività di volontariato dovrebbero sostenere nuovi costi legati alla contabilità e assumersi il rischio di eventuali contenziosi fiscali. “Non avremo più partite iva e più commercialista, ma meno enti no profit”, continua Fiaschi. “Le piccole associazioni preferiranno chiudere piuttosto che organizzarsi come un’azienda per regalare il loro tempo alla comunità. Fare volontariato sarebbe ancora più difficile”.

L’articolo in discussione è il 108 della nuova legge di Bilancio. Per rispondere a una procedura d’infrazione europea del 2010, legata al non corretto recepimento della direttiva comunitaria sull’Iva del 2006, il governo aggiunge alla lista dei soggetti a cui si applica l’imposta anche associazioni come quelle religiose, culturali, sportive, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica. Le attività di questi enti, anche se non commerciali, diventano potenzialmente imponibili, anche se subito dopo si specifica che hanno diritto all’esenzione. “Di fatto vengono assimilate al commercio le attività degli oratori, le quote associative degli scout, l’iscrizione alle attività nei circoli”, spiega Fiaschi. Tutto il terzo settore non commerciale dovrebbe aprire la partita iva e affidarsi a un commercialista per gestire la rendicontazione. Questo comporterebbe nuovi costi fissi che le piccole associazioni, con bilanci di poche migliaia di euro, non potrebbero permettersi.

Il rischio è di scoraggiare soprattutto gli operatori dei territori più isolati, proprio quelli in cui le associazioni di volontariato rappresentano un punto di riferimento fondamentale per la comunità: “Il piccolo circolo di paese non può pagare un commercialista, ma dovrà comunque rendicontare i suoi movimenti per giustificare il regime di esenzione scelto. Sarebbe molto complicato e esporrebbe i volontari a ulteriori rischi di contenzioso con l’Agenzia delle Entrate”. In un incontro sul tema con il viceministro dell’Economia Antonio Misiani il Forum ha chiesto di cancellare la norma e di attivare subito un tavolo per discutere in maniera più generale del quadro fiscale del terzo settore, ancora poco chiaro a tre anni dall’approvazione della riforma. “Questi articoli estemporanei non fanno altro che mettere in difficoltà gli enti, bisogna fare un ragionamento sull’inquadramento del non profit nel nostro paese”.

Articolo Precedente

Servizio civile, nella manovra 400 milioni. “Mai così tanti fondi, ma non bastano ancora per i 67mila volontari necessari nel 2021”

next
Articolo Successivo

A Dakar la street art per raccontare che la disabilità non deve escludere. Il progetto dell’Agenzia italiana per la cooperazione

next