Per molte scuole superiori d’Italia oggi la campanella torna a suonare virtualmente. L’ultimo dpcm ha previsto la possibilità per le Regioni di tornare almeno al 75% di didattica a distanza per far fronte al picco di contagi e intanto Lombardia, Calabria, Campania e Sicilia hanno già disposto l’obbligo per le superiori. Ma a che punto sono gli istituti sulla tanto contestata dad? Secondo i dirigenti scolastici e gli esperti del mondo digitale tra i banchi, il mondo della scuola ancora arranca. Sono passati otto mesi dalla prima lezione online, ma la rete è rimasta claudicante; i dispositivi non ci sono ancora per tutti; la formazione non è stata sufficiente. E non solo: ad ammettere le difficoltà cui dovremo andare incontro nelle prossime settimane sono anche i politici e i dirigenti degli uffici ministeriali.

Il caso lombardo – Da oggi in Lombardia la maggior parte dei 480mila ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado tornano a fare lezioni online. Gli allievi a casa e i professori a scuola. In classe anche i ragazzi diversamente abili. Così ha deciso la Regione Lombardia con l’ufficio scolastico regionale. Ma in dad torna anche la Calabria per il 100% dei ragazzi delle superiori e la Campania lo è già per le scuole di ogni ordine e grado. E a livello nazionale con la firma del Dpcm di Giuseppe Conte, anche le altre regioni dovranno organizzarsi perché sarà possibile fare didattica a distanza oltre il 75%. A spiegare che succederà da stamattina in Lombardia è la dirigente dell’ufficio scolastico regionale Augusta Celada: “L’ordinanza non stabilisce che debbano partire tutti da oggi ma qualora vi siano le condizioni per passare alla dad. Lunedì 26 avremo un incontro con il presidente Attilio Fontana per studiare come declinare il provvedimento nelle singole realtà. C’è una particolare attenzione per i disabili: non abbiamo ancora preso decisioni in merito ma potremmo decidere che queste persone possano andare a scuola con i loro insegnanti di sostegno”. Nessun docente invece, farà lezione da casa. Celada su questo punto non transige: “Il contratto del personale della scuola non prevede lo smart working. Se le scuole sono aperte i docenti ci devono andare, speriamo che le reti tengano. I dirigenti hanno gli strumenti per intervenire”. Secondo la numero uno dell’Usr la didattica a distanza “è funzionata molto bene e i problemi di connettività sono solo nelle zone montuose della regione”. C’è di più. Alla Celada non risultano problemi con i device: “Dai nostri monitoraggi non ho alcun riscontro di difficoltà di questo genere”.

A smentire la dirigente dell’Usr riguardo ai dispostivi sono l’assessora regionale dell’Istruzione Melania Rizzoli e i presidi che stanno sul territorio. Rizzoli attacca la ministra Lucia Azzolina: “Abbiamo il 16% di ragazzi che non hanno dispositivi. La ministra ha preferito investire sui banchi a rotelle e oggi ci ritroviamo in questa situazione. Non solo. E’ vero: molte scuole non hanno il wi-fi”. L’assessora, tuttavia, giustifica la scelta della dad con fermezza: “L’età del contagio si è abbassata. I ragazzi si infettano, ma sono asintomatici. Il mio compito è ridurre la catena dei contagi. I numeri che abbiamo in mano in queste ore si riferiscono ai contagi avvenuti dieci giorni fa. Tra due settimane la situazione sarà peggiorata: dovremo prendere altri provvedimenti restrittivi della socialità”. L’assessora per ora non ha intenzione di chiudere le scuole del primo ciclo, ma nulla può escludere questa evenienza qualora i numeri dei ricoveri e dei morti dovessero peggiorare.

Ma in Lombardia a far arrabbiare i presidi è la decisione di mandare i docenti a scuola a far lezione. I dirigenti temono che la rete degli istituti non regga ma hanno paura anche per la salute del loro personale. Un problema di non poco conto che divide il mondo della scuola lombardo. Se Flavio Arpini, preside dell’ “Anguissola” di Cremona è dell’idea di lasciare libertà di scelta ai suoi professori tra restare a casa o andare in aula, la collega Roberta Mozzi del “Torriani” intende rispettare, suo malgrado, la normativa. La “minaccia” non così tanto velata di Celada d’altro canto è una pistola puntata sulla testa dei presidi: “I docenti sono dipendenti della Repubblica. Il dirigente che fa la scelta di far restare a casa i suoi insegnanti si assume la responsabilità di pagare un eventuale danno erariale”.

Intanto la preside Mozzi ricorda che il 10% dei suoi allievi non ha ancora strumenti e che i problemi di connessione ci sono anche in pianura padana. Più ottimista Arpini: “La scuola sarà sottoposta a una costante tenuta della connessione se dovremo fare lezione dalle aule. Comunque siamo pronti: abbiamo formule di comodato gratuito per i ragazzi e stiamo investendo sulla strumentazione. Negli ultimi tempi i docenti hanno fatto molta autoformazione, c’è un virtuoso scambio informativo”. Contro il ministero dell’Istruzione il presidente regionale dell’Associazione nazionale presidi della Lombardia, Massimo Spinelli: “La formazione? Ci siamo arrangiati in casa. A livello ministeriale non c’è stata. Non ci siamo nemmeno dal punto di vista della connettività: la rete delle scuole non può sopportare 60 dispostivi collegati contemporaneamente per fare la dad. E poi resta il problema delle famiglie: se torneremo in lockdown avremo di nuovo genitori e figli che devono dividersi il personal computer”.

La situazione in Campania e Calabria – Dalla Lombardia alla Campania. A far da portavoce dei presidi è il segretario dell’Anp, Franco De Rosa: “Noi da lunedì scorso siamo tornati a fare lezioni da casa. La situazione è a macchia di leopardo: ci sono colleghi che hanno scelto di far venire i docenti a scuola e altri che hanno loro permesso di fare il proprio lavoro da casa. Il problema maggiore è la scarsità degli strumenti per i ragazzi: calcoliamo che ci sono ancora il 30% dei nostri allievi senza device ovvero 300 mila scolari”.

Dalla Calabria, dove l’ordinanza firmata dal vice presidente Antonino Spirlì, prevede persino “adeguati controlli atti a verificare l’effettiva presenza degli studenti presso il proprio domicilio/residenza per tutto l’arco delle giornate di lezione”, il preside Pino Gelardi, segretario dell’Anp della regione è positivo: “Alle superiori siamo attrezzati. Personalmente nella mia scuola ho consegnato 200 personal computer in comodato ai ragazzi con necessità. I corsi di formazione sono stati fatti ma sia chiaro non siamo sceriffi. Quella frase sul controllo degli allievi dovrebbe essere modificata”.

Sincera l’assessora regionale all’Istruzione Sandra Savaglio: “Nel mese d’aprile abbiamo investito cinque milioni per 12 mila dispositivi. In Calabria ci sono 270mila studenti di tutti i gradi di scuola. Sono ancora pochi, ma cercheremo di fare di più. Per quanto riguarda i dispositivi, dubito che tutti siano forniti, ma fare i bandi e convincere le scuole a fare le domande non è semplice. Ci sono le rendicontazioni che sono un incubo”.

I numeri del ministero: dalla formazione ai dispositivi – Per quanto riguarda la formazione, il ministero elenca i dati: “Abbiamo attivato iniziative di sostegno alla didattica a distanza nei primi giorni di marzo. Indire, attraverso le sue reti di scuole di innovazione, ha offerto il suo contributo, mettendo a disposizione le proprie infrastrutture tecnologiche. I docenti e i dirigenti hanno potuto condividere attraverso questo canale buone pratiche e modalità di lavoro già sperimentate. Già nella prima settimana di lockdown sono stati organizzati i primi webinar, per rispondere alle esigenze di formazione delle scuole. In poco meno di due mesi sono stati messi a disposizione gratuitamente per docenti e dirigenti scolastici 211 webinar per 163 ore complessive di attività online. In totale, ai webinar hanno partecipato in diretta 45.974 docenti. Le registrazioni sono state scaricate e viste in un secondo momento da 88.975 utenti. La media di partecipazione nei 211 webinar è di 217,8 persone”.

E sui dispositivi dagli uffici di viale Trastevere forniscono altri numeri: “Ad oggi sono stati censiti 300mila tablet e pc comprati con fondi statali, ma manca una parte del censimento per la parte Pon (Programma operativo nazionale) perché quei dati arrivano mano a mano che chiudono bandi/acquistano. Le scuole, intanto, con fondi del piano nazionale scuola digitale hanno acquistato negli ultimi tre anni circa 1,2 milioni di dispositivi”.

L’esperta di didattica digitale: “Non siamo pronti a tornare alla dad” – Chi esprime preoccupazioni è una delle maggiori esperte di didattica digitale, Dianora Bardi, presidente associazione “Impara Digitale”: “Non siamo assolutamente pronti a tornare alla didattica a distanza. Non c’è stato il tempo di riflettere su quanto avvenuto precedentemente, essendo tutti concentrati sulla sicurezza. Fare dad non significa trasferire in digitale ciò che si fa in presenza. Servono strategie di comunicazione. Stiamo perdendo un’ottima occasione: fare un passo avanti nelle didattiche digitali. In questo momento salvaguardare gli studenti non è portarli a scuola, ma fare una didattica che abbia un senso”. La professoressa Bardi non perdona nulla nemmeno sul fronte della formazione: “Me l’aspettavo, ma ne ho vista davvero poca. E’ stata fatta molto sulla sicurezza. Qualcuno l’ha fatta di tipo tecnico, ma non didattico. Si è parlato dei banchi monoposto e delle sedie a rotelle, ma non si sono affrontati i veri problemi cui sapevano di dover andare incontro”.

I timori dei presidi dopo l’ultimo dpcm – Secondo il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli la situazione rimane preoccupante: “Ad oggi, e lo dico ragionando sui dati diffusi, ridurre la frequenza a scuola che non è luogo di contagio, o comunque lo è meno di altri, è un controsenso. Voglio poi mettere in evidenza due criticità: gli studenti con bisogni educativi speciali e i portatori di handicap per crescere e integrarsi hanno bisogno del contatto con i compagni, non basta dare loro la possibilità di seguire le lezioni a scuola, da soli, con l’insegnante di sostegno (quando c’è). Inoltre, segnalo la questione degli insegnamenti di tipo laboratoriale che saranno gravemente danneggiati da un utilizzo massivo della didattica a distanza”. Aggiunge Giannelli: “In questi sei mesi non si è fatto nulla per potenziare la medicina territoriale e il sistema dei trasporti, auspico che questo venga fatto ora con i fondi appositamente stanziati, in modo che non venga compromesso del tutto questo anno scolastico e con esso il diritto allo studio dei ragazzi delle scuole superiori”.

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