“Se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati”. Salvatore Buzzi commentava così, nel 2013, in una delle migliaia di telefonate intercettate agli atti dell’inchiesta Mondo di Mezzo, il risultato delle elezioni che portarono Ignazio Marino in Campidoglio, dopo il ballottaggio contro l’allora sindaco di Roma uscente, Gianni Alemanno, in quota centrodestra. Oggi l’ex primo cittadino capitolino e ministro dell’Agricoltura, è stato condannato in Appello a 6 anni di carcere, a conferma del pronunciamento di primo grado arrivato il 25 febbraio 2019. Pena addirittura superiore a quella richiesta dal procuratore generale, Pietro Catalani, che in sede di requisitoria si era fermato a 3 anni e 6 mesi di reclusione con l’accusa di “corruzione per l’esercizio della funzione”. “Sono sconcertato perché questa sentenza d’Appello pur di condannarmi smentisce una decisione della Cassazione secondo cui i miei coimputati sono stati riconosciuti colpevoli di traffico di influenza”, ha detto l’ex sindaco: “A questo punto io sono un corrotto senza corruttore – ha continuato, prima di lasciare il palazzo di Giustizia – evidentemente mi sono corrotto da solo. Proclamo la mia innocenza come ho fatto sin dal primo giorno. Ricorrerò in Cassazione”. Se la Cassazione dovesse confermare in toto la sentenza d’Appello, l’ex ministro potrebbe realmente finire in carcere.

Alemanno era accusato di corruzione e finanziamento illecito. Secondo l’accusa, tra il 2012 e il 2014, per il tramite l’ex ad di Ama Franco Panzironi avrebbe ricevuto, attraverso la sua Fondazione Nuova Italia, oltre 223 mila euro tra cene elettorali, finanziamenti alla sua associazione e denaro contante. Una parte consistente dei soldi sarebbe arrivata nell’ottobre 2014, a due mesi dalla prima ondata di arresti avvenuti il 4 dicembre. Soldi, secondo l’accusa, arrivati dai due principali protagonisti dell’inchiesta ex “mafia capitale”: Salvatore Buzzi, a capo dell’universo di cooperative racchiuse sotto il marchio della 29 Giugno, e Massimo Carminati, noto estremista di destra. Va ricordato che l’iniziale aggravante mafiosa è decaduta in Cassazione per tutti gli imputati alla quale era stata contestata.

In sede di indagine i carabinieri del Ros di Roma avevano infatti ricostruito le dazioni illecite di denaro giunte da Buzzi e Carminati sul conto corrente della Nuova Italia. Somme per un valore complessivo di 198.500 euro arrivarono nel periodo compreso dal 4 gennaio 2012 al 3 settembre 2014, mentre altri 25mila euro sono arrivati sul conto corrente dell’allora mandatario elettorale di Alemanno. A pagare quelle cifre i soggetti riconducibili in particolare a Buzzi (Casa Comune 2000, Unicop, Eriches 29, cooperativa Formula Sociale, Sarim Immobiliare e Sial Service) ma anche soggetti economici che in qualche modo, secondo gli inquirenti, agivano in accordo con il ras delle cooperative (Edera di Franco Cancelli per la somma di 60.000 euro, coop. Un Sorriso e Impegno per la Promozione di Sandro Coltellaci per la somma di 15.000 euro). “I bonifici della fondazione non li faceva Alemanno, il quale non ha mai effettuato alcun pagamento, in tutti i documenti compare solo il nome di Panzironi (l’ex ad di Ama, ndr)”, avevano ribattuto i suoi avvocati Franco Coppi e Pietro Pomanti. Quanto ai 10mila euro dati da Formula Sociale, “altro non erano che un regolare versamento tramite bonifico che riguarda la Fondazione Nuova Italia”.

Fra i “favori” svolti da Alemanno e dai suoi uomini durante il periodo da sindaco della Capitale, elencati dall’accusa e ancora oggi fortemente contestati dall’allora primo cittadino, ci sono interventi per l’erogazione di finanziamenti dal Comune di Roma a Eur Spa “finalizzati a consentire il pagamento di crediti di soggetti economici riconducibili a Buzzi e Carminati”, pressioni sui vertici di Ama per lo sblocco dei crediti vantati dalle cooperative di Buzzi e interventi finalizzati all’approvazione del bilancio di previsione 2012 e alla realizzazione dell’assestamento di bilancio, sempre con un occhio agli interessi delle cooperative, con riferimento particolare ai crediti vantati nei lavori di allargamento del campo rom di Castel Romano, a cui Carminati – secondo gli atti di inchiesta – era direttamente interessato.

Articolo Successivo

Procura di Genova indaga sui ritardi dei pronto soccorso e la mancata attuazione dei piani per l’emergenza Covid

next