“La riforma della Pac è mero greenwashing e danneggia i nostri agricoltori. Prendiamo le distanze dai compromessi al ribasso”. La nota firmata da cinque europarlamentari del Movimento 5 stelle e postata sui rispettivi social dà la misura di uno strappo che si è consumato all’ombra della Pac tra i nove europarlamentari grillini che, nell’ambito della plenaria dell’Eurocamera, hanno sostenuto il maxi-emendamento frutto dell’accordo fra i tre maggiori gruppi politici europei, il Partito popolare europeo (Ppe), i Socialisti e Democratici (S&D) e Renew Europe (Liberali) e chi ha votato contro i cosiddetti ‘emendamenti di compromesso’. Uno strappo che rivela due visioni diverse della lotta per la tutela all’ambiente: la delusione per una Pac ritenuta non sufficientemente ambiziosa da un lato e la volontà di raggiungere un compromesso, di fare un primo passo cercando di portare a casa qualche risultato, come l’ok a un emendamento che dovrebbe mettere un argine alle frodi sui fondi europei nel mondo dell’agricoltura e un altro testo contro il caporalato. Per gli europarlamentari Ignazio Corrao, Eleonora Evi, Rosa D’Amato, Laura Ferrara e Piernicola Pedicini è stata comunque “persa un’occasione importante per fare della Politica Agricola Comune uno strumento della transizione ecologica e ci rammarichiamo – hanno scritto in una nota – che il parlamento europeo abbia contribuito a questo risultato”, dando “il peggio di sé”. I cinque europarlamentari M5s hanno votato contro la linea ufficiale del Movimento (e della maggioranza di governo) e si sono espressi in linea con i Verdi associandosi alle proteste ecologiste di queste ore.

LA PRESA DI POSIZIONE I cinque eurodeputati M5s spiegano di essersi rifiutati di sostenere un testo che considerano “debole e annacquato, che mantiene molte storture della Pac attuale, come le sovvenzioni erogate in base agli ettari di produzione, con la conseguenza di una distribuzione non equa degli aiuti, poiché il 20% dei produttori riceve l’80% delle sovvenzioni” e di essersi opposti “a compromessi che impedivano ai singoli stati membri di introdurre una condizionalità ambientale più ambiziosa per i sussidi Pac, ponendo al contempo un tetto ai finanziamenti di natura ambientale e agli eco-schemi. “Ci siamo spaccati già al primo voto – racconta a ilfattoquotidiano.it Eleonora Evi – quando il resto della delegazione, come da indicazioni di Dino Gianrusso e Daniela Rondinelli – ha rigettato il testo presentato dai Verdi che mirava a cancellare la riforma ed era anche un modo per contrastare il maxi-emendamento. Non si possono rilasciare dichiarazioni di un certo tono e poi votare in maniera diversa, sostenendo il compromesso. E bloccando, di fatto, ogni discussione”.

COME DIVIDERE LE DOTAZIONI FINANZIARIE DELLA PAC – Questo compromesso, per quanto riguarda il primo pilastro della Pac (i pagamenti diretti agli agricoltori), prevede che almeno il 60% dei sussidi vadano al sostegno al reddito degli agricoltori (e, di questi, solo il 6% dovrebbe essere mirato alle aziende medie e piccole, ndr). “Poi – aggiunge l’eurodeputata – c’è un 10% costituito da altre voci con nessuna attinenza all’ambiente e un 30% di sussidi destinati ai cosiddetti ecoschemi e, quindi, a misure ambientali”. Il problema, però, è che in questa percentuale c’è un po’ di tutto. “Vi rientrano il miglioramento delle risorse genetiche e, quindi, vorremmo capire se questo riguarda anche tutto ciò che ruota intorno agli Ogm – aggiunge Eleonora Evi – piuttosto che la gestione dei rischi naturali”. Cosa significa? “Significa la costruzione di una diga per raccogliere l’acqua contro la siccità che, però, è una misura per arginare le conseguenze del cambiamento climatico e non per prevenirle. Per intenderci, mi sono spesa molto per difendere gli animali e migliorare la legislazione europea, ma non credo che in questo 30% debbano rientrare anche le misure per migliorare il benessere animale, perché dovrebbero contare su risorse dedicate”. Risorse che erano previste, in realtà, negli emendamenti che sono caduti con l’approvazione di quelli frutto dell’accordo europeo.

GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI – “Abbiamo presentato diverse proposte di modifica – continua l’eurodeputata – per cercare di definire quali siano gli allevamenti intensivi, mentre nel testo base approvato si fa riferimento solo al fatto che non saranno previsti investimenti che non siano coerenti con la legislazione europea sul benessere degli animali. Solo che parliamo di una legislazione europea vecchia, mentre noi volevamo che un altro limite fosse rappresentato dalle più recenti e complete conoscenze scientifiche e che nessuna risorsa potesse andare agli allevamenti intensivi. Ora basterà che rispettino la normativa europea, che ha requisiti quasi inesistenti”.

LA REPLICA – Interpellata sul punto, la collega M5s Daniela Rondinelli ha difeso la decisione di votare a favore: “La normativa è vecchia e verrà rivista, ma non dimentichiamo che i protocolli italiani sono ben diversi e più rigorosi da quelli di altri Paesi”. Secondo l’eurodeputata questa resta “una Pac decisamente diversa rispetto a quella attuale, perché deve tenere in considerazione tutti i target legati al clima, all’ambiente e al sociale. È vero che poteva essere molto più ambiziosa”. E allora perché l’avete votata? “Perché con gli ecoschemi al 30%, che sono uno strumento di avanguardia ambientale, stiamo chiedendo ad agricoltori e allevatori di assumersi una responsabilità e li stiamo accompagnando con un primo passo verso una transizione verde, ma dobbiamo anche pensare a 500 milioni di cittadini europei che consumano i prodotti agricoli e non possiamo, soprattutto in questo momento di crisi dovuto alla pandemia, pretendere di tagliare le risorse che vanno a sostegno delle aziende dall’oggi al domani”.

LA BIODIVERSITÀ – Secondo Rondinelli la strada tracciata è comunque quella disegnata dalla Commissione europea e della strategia Farm to Fork. La Commissione europea aveva fissato come obiettivo quello di raggiungere una quota di almeno il 30% delle aree rurali e marine europee protette e trasformare il 10% delle superfici agricole in aree ad alta biodiversità. Alcuni emendamenti puntavano a un budget specifico per proteggere la biodiversità sui terreni delle aziende agricole con stagni, siepi e piccole zone umide. Il risultato portato a casa è un passaggio del testo, che però non è vincolante: “Gli Stati membri dovrebbero mirare, nei loro piani strategici, a prevedere una superficie pari ad almeno il 10% di elementi caratteristici del paesaggio vantaggiosi per la biodiversità. Essi dovrebbero comprendere, tra l’altro, fasce tampone, maggese completo o con rotazione, siepi, alberi non produttivi, terrazzamenti e stagni”. Le risorse sono da trovarsi nel 30% dedicato agli ecoschemi. Rispetto al nulla della vecchia Pac è qualcosa, ma non è l’obiettivo più ambizioso che c’era sul tavolo. È compatibile con la strategia della Commissione Ue l’abolizione, per esempio, del divieto di arare e convertire i prati permanenti nei siti della rete Natura 2000? “Può esserlo – spiega Daniela Rondinelli – se noi attuiamo un’agricoltura di precisione, che ci fa utilizzare i campi in modo mirato, che non utilizza pesticidi e comporta un notevole risparmio di risorse idriche”. Anche su questo punto, però, ci sono state molte critiche, per esempio dalle ong, che contestano il fatto che alcune pratiche di precisione possono essere adottate solo da chi può permetterselo e, quindi, più dalle grandi aziende che dai piccoli agricoltori.

GLI EMENDAMENTI ANTI-FRODE E CONTRO IL CAPORALATO – Anche Giarrusso “rivendica con orgoglio i passi avanti fatti in termini ambientali”. E ricorda che il Parlamento europeo ha approvato un emendamento (presentato dagli europarlamentari Pignedoli, Beghin, Castaldo, D’Amato e Pedicini) che mette un argine alle frodi e agli episodi di corruzione sui fondi europei nel mondo dell’agricoltura. Lo Stato, infatti, dovrebbe fissare dei tetti massimi all’importo dei pagamenti diretti concessi agli agricoltori: 500 mila euro per quanto riguarda il primo pilastro e 1 milione di euro sul secondo. E poi c’è un altro emendamento in cui si inserisce nella Pac la condizionalità sociale: ovvero “i pagamenti diretti o i premi annuali che provengono dai fondi europei, vengono azzerati per chi non rispetta i contratti collettivi, la legislazione sociale e il diritto del lavoro a livello nazionale e internazionale”. Insomma, chi sfrutta i lavoratori perde il diritto ad accedere ai fondi europei. Infine, concludono: “Nella Pac sono presenti obiettivi sul rispetto ambientale, la gestione delle risorse idriche e l’imboschimento” ricordando “l’obbligo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dall’agricoltura”.

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