“Undici maggio 2001. Una data che non scorda più nessuno”. Da diciannove anni quel coro è di casa nella Curva Sud a San Siro, quella occupata dalla tifoseria del Milan. Al Meazza si gioca un derby di tono minore, che mescola delusione e nostalgia. Sia Inter che Milan stanno vivendo una stagione travagliata. Il treno scudetto è scappato troppo presto e l’ultima piazza per la Champions League è ormai un pallido miraggio. Un derby però ha il potere di dare un senso a una stagione intera. A trovarlo sono i rossoneri allenati da Cesare Maldini. E non con un risultato banale. Il Milan batte sei a zero i nerazzurri di Marco Tardelli. In mezzo a campioni come Maldini, Costacurta e Shevchenko, c’è anche il nome di un giovane neoacquisto, Gianni Comandini. Fino a quel momento non ha avuto molto modo di mettersi in mostra, eppure papà Maldini decide di dargli una chance in coppia con l’attaccante ucraino.

Il tre e il diciannove. Sono i minuti in cui Serginho disegna due assist. Un passaggio filtrante e un cross sul primo palo sui quali Comandini si fa trovare pronto. Prima con il sinistro e con un perfetto stacco di testa, la palla finisce dietro alle spalle di Frey. In due istanti Comandini si è ritagliato un piccolo pezzo nella storia del Milan, conquistando anche un soprannome dallo storico telecronista rossonero Carlo Pellegatti: sentenza Comandini. La festa sarà completata dalle marcature di Giunti, Serginho e dalla doppietta di Shevchenko ma gli occhi sono tutti per lui. Per un attimo c’è la sensazione che il Milan abbia trovato l’attaccante su cui basare le proprie fortune future. Quello che nessuno ancora sa, tantomeno Comandini, è che quella doppietta rappresenterà anche il suo personale canto del cigno. E non solo con il Milan. La conclusione di un’ascesa calcistica iniziata appena cinque anni prima in Toscana. A Montevarchi.

Estate 1996. Il Cesena – la squadra della sua città con cui ha esordito in Serie B a 18 anni – decide di mandarlo in C1 per farsi le ossa. In Toscana il romagnolo trova molto spazio ma le reti sono ancora poche. Appena tre. L’esperienza però si rivela importante. Comandini rientra al Cesena e con sei reti risulta decisivo per la promozione in B della società bianconera. Nel 1998/99 l’attaccante titolare dei bianconeri sarà lui. L’impatto di Comandini con la serie cadetta è di quelle di chi ha davanti a se un futuro roseo: 35 presenze e 14 gol, ad appena 21 anni. Non ha una grande tecnica di base ma l’umiltà e la dedizione che mette in campo gli consentono di far emergere le sue qualità migliori. Tra questi ci sono i colpi di testa. Il Cesena si salva agevolmente e si prepara a perderlo. Nel futuro di Comandini c’è il biancorosso del Vicenza.

I biancorossi sono un club prestigioso del calcio italiano. Da lì sono passati Paolo Rossi e Roberto Baggio e solo due anni prima hanno alzato al cielo la Coppa Italia, punto d’accesso di una cavalcata europea in Coppa delle Coppe fermata soltanto in semifinale contro il Chelsea. Per Comandini è un salto di avanti notevole. La squadra – nel frattempo retrocessa in B – è guidata da Edy Reja, un goriziano esperto che fa del pragmatismo la sua filosofia calcistica. In coppia con Pasquale Luiso, Comandini trascina il Vicenza alla promozione in massima serie da prima in classifica. Ma per lui le soddisfazioni non sono finite. Con ventuno reti arriva il titolo di capocannoniere ma, sopratutto, la convocazione per l’imminente Europeo Under 21.

È l’edizione dell’Italia di Marco Tardelli e delle invenzioni di Andrea Pirlo che trascinano gli azzurrini al quarto titolo di categoria. Se Pirlo è il giocatore con più qualità (sua la doppietta decisiva in finale contro la Repubblica Ceca), Comandini è il riferimento offensivo della squadra. Un lavoro per la squadra impreziosito da una rete nella gara inaugurale contro l’Inghilterra. A 23 anni pare aver acquisito l’esperienza e la sicurezza che serve per una grande società. E questa si presenta subito dopo l’Europeo. Venti miliardi di lire e per Comandini si aprono le porte della Scala del calcio. Il Milan decide di puntare su lui e gli affida la maglia numero 9. Un nuovo salto in avanti. Purtroppo l’ultimo. Dopo un inizio promettente con la rete alla Dinamo Zagabria nel preliminare di Champions League, Comandini mostra i suoi limiti. Al Milan soffre la concorrenza e la pressione. In campionato gioca poco e non incide, anche condizionato da alcuni problemi fisici. La doppietta nel derby è troppo poco per la dirigenza.

Trenta miliardi di lire e Comandini approda all’Atalanta. Ci si aspetta che ritrovi, insieme alla tranquillità della provincia, l’antica vena realizzativa. La Dea si salva, ma Comandini non convince. In totale mette insieme 30 presenze e solo 4 reti. Nelle stagioni successive le cose non cambiano. Le reti di contano con il contagocce, come il minutaggio in campo. Anche il fugace ritorno in B con il Genoa non sortisce nessun effetto. Nel 2006 Comandini decide di giocarsi l’ultima chance con la maglia della Ternana. Dopo sette presenze e due reti decide di dire basta con il calcio. Ha 28 anni e una nuova vita che lo aspetta.

Comandini sveste la maglia da calciatore per indossare la muta impermeabile del surfista. Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Bali, Sri Lanka. Dorme in spiaggia e in ostelli di fortuna. Trova quella libertà che ha sempre ricercato anche sul campo da calcio. Ma non c’è soltanto il surf, c’è anche la musica. La sua seconda grande passione. Dopo aver girato il mondo alla caccia dell’onda migliore, l’ex giocatore del Milan torna lì dove tutto era cominciato, a Cesena. Inizia a suonare come dj – sopratutto roba rock – e apre un locale. Lontano dal mondo del calcio. A distanza di tanti anni, quelle due reti all’Inter continuano però ad essere l’argomento principale di chi lo riconosce per la prima volta.

Twitter: @giacomocorsetti

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