Ammonta a 28 milioni di euro il valore dei beni sequestrati dalla Guardia di finanza di Taranto a due società coinvolte nell’inchiesta sulle tangenti per l’ampliamento della discarica Torre-Caprarica che portò in carcere l’ex presidente della provincia ionica Martino Tamburrano. I finanzieri, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, hanno ricostruito la montagna di denaro incassata dalla società “Linea Ambiente” attraverso l’accordo illecito raggiunto, secondo la procura, dal suo dirigente Roberto Natalino Venuti con Tamburrano attraverso l’intermediazione dell’imprenditore Pasquale Lonoce. Per il procuratore aggiunto Maurizio Carbone e il sostituto Enrico Bruschi, Venuti ha versato 5mila euro al mese all’ex presidente berlusconiano che per favorire la società ha ribaltato il parere negativo del comitato tecnico scientifico ottenendo l’ampliamento della discarica che garantiva all’impresa entrate per circa 1 milione di euro al mese: nel periodo di gestione dell’impianto, quindi, la società Linea Ambiente avrebbe ottenuto un ricavo di ben 26 milioni di euro.

Altri 2 milioni di euro, invece, sono stati sequestrati alla società gestite di fatto dall’imprenditore tarantino Lonoce: per l’accusa, le società di quest’ultimo presentavano a Linea ambiente fatture gonfiate, per operazioni talvolta inesistenti, necessarie per creare i fondi neri che consentivano il pagamento delle mazzette. Nei due provvedimenti di sequestro firmati dal giudice Vilma Gilli spunta il nome di Giovanni Scarioni, procuratore speciale della società “A2a” che attraverso la “Lhg spa” controlla Linea ambiente. Scarioni, pur non essendo indagato, per i finanzieri era perfettamente a conoscenza delle operazioni illecite portate avanti da Venuti, ma “pur rivestendo un ruolo apicale in A2A, non batteva ciglio né consta informazione alcuna rivolta a qualunque organo di controllo, tanto ancora una volta in spregio al codice etico di Lgh e di Linea Ambiente”.

Per Tamburrano, Lonoce, Venuti e il dirigente della provincia Lorenzo Natile, la procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato. Le intercettazioni raccolte dai finanzieri durante le indagini portarono alla luce un quadro sconcertante: Martino Tamburrano, a cui secondo l’accusa, venivano corrisposte bustarelle per 5mila euro al mese, un’auto di lusso e la campagna elettorale per la candidatura della moglie al Senato nelle liste di Forza Italia, era dipinto dai suoi complici come insaziabile. “Per me Martino è più mafioso di Totò Riina. Totò Riina è un coglione rispetto a lui” affermava Lonoce ignaro di essere ascoltato aggiungendo “quindicimila Euro al mese esco…. Ieri sera 800 euro con lei se ne sono andati. Per dirti, e tutte le sere e tutte le sere, quante volte quello va a mangiare e pago io, va con quelli e pago io. Oh! In media, 15mila/20mila euro al mese esco fatti i conti. Una cosa che siamo noi tre, perché siamo amici, un altro conto che quelli li hanno messi tutti a carico mio. Adesso questo altro fatto qua, dei terminali, là, i computer, i telefonini per i figli dei figli, le cose. Eh! Non li va a ritirare se non li pago. Weh coglione!”.

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