Violenza sessuale ai danni di tre giovani militari e ingiuria a un sottoposto. Sono questi i reati per i quali stamattina il Tribunale di Torino ha condannato a due anni e quattro mesi di reclusione G.G., maresciallo ordinario, capo plotone e istruttore della “Brigata alpina Taurinense”. L’uomo, un torinese di 35 anni, era l’allenatore delle quattro persone offese che dovevano prepararsi ai campionati sciistici delle truppe alpine. Tra il gennaio 2017 e l’aprile 2018, nel corso delle esercitazioni a Sestriere, Oulx, Pragelato (Torino) e al Passo del Tonale (Brescia), “abusando della propria autorità e del proprio ruolo” palpeggiava le tre giovani donne e dava loro pacche sul sedere e baci non richiesti. Non solo: il maresciallo insultava anche un giovane alpino di origine maghrebina chiamandolo con epiteti come “negro”, “spaccino”, “beduino” e frasi peggiori: “Perché canti l’inno nazionale? – gli diceva -. Credi di essere italiano?”. A differenza degli altri, che venivano incitati durante gli allenamenti, il sottoposto veniva insultato e contro di lui il capo plotone dava inizio a un procedimento disciplinare poi finito nel nulla.

I comportamenti illeciti sono proseguiti fino a quando una delle ragazze si è confidata a un carabiniere che, in seguito, ha scritto la relazione da cui sono partiti gli accertamenti. Il sostituto procuratore Barbara Badellino ha quindi aperto un fascicolo d’indagine e qualificato quei comportamenti come violenze sessuali e maltrattamenti aggravati dalle finalità discriminatorie. Oggi al momento della sentenza il gup del tribunale torinese Valentina Soria ha riqualificato l’ultima ipotesi di accusa in un altro reato, “minaccia o ingiuria a un inferiore”, previsto dal codice penale militare. Oltre al maresciallo capo la procura di Torino ha anche indagato un comandante del reparto, un tenente colonnello di 47 anni (difeso dall’avvocato Roberto Giacobina), per omessa denuncia e un capitano di 45 anni (assistito dal legale Erik Paleni) per tentato favoreggiamento perché avrebbe scoraggiato le vittime e aiutato il maresciallo a eludere le indagini. Stando agli atti, la storia degli insulti al soldato di origini nordafricane “doveva finire lì, tanto non andrà a buon fine”. A un testimone, inoltre, aveva detto che era inutile parlare con i carabinieri delegati all’inchiesta perché “non sanno lavorare in modo serio”: “Lasciate perdere perché i nostri accordi erano altri”, aveva aggiunto. I due ufficiali sono stati rinviati a giudizio. Assolto invece un quarto militare, difeso dagli avvocati Marco Arena ed Erik Galimi, accusato di tentato favoreggiamento.

Il giudice Soria ha riconosciuto alle tre giovani militari e al loro commilitone, assistiti dall’avvocato Valerio D’Atri, un risarcimento provvisionale immediatamente esecutivo. Nel novembre 2018 il principale imputato era stato sospeso dallo Stato maggiore dell’Esercito italiano: “Laddove le accuse fossero confermate, si tratta di comportamenti indegni, inaccettabili e immorali, ancora più gravi per uomini e donne che indossano l’uniforme e rappresentano lo Stato”.

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