Gordon Sondland, ambasciatore Usa presso la Ue, ha ammesso di aver lavorato con Rudolph Giuliani su richiesta di Donald Trump per fare pressioni sull’Ucraina. Lo ha riferito il diplomatico durante le dichiarazioni iniziali rilasciate in apertura della sua testimonianza dinanzi alla commissione intelligence della Camera nell’ambito dell’inchiesta sull’impeachment contro il presidente degli Stati Uniti. “Le richieste di Rudy Giuliani erano un quid pro quo (do ut des, è l’espressione latina più comunemente usata in italiano, ndr) come condizione della visita del presidente Zelensky alla Casa Bianca”, ha riferito Sondland, spiegando che la condizione era “l’annuncio pubblico dell’avvio di inchieste sulle elezioni 2016, il server democratico e Burisma”, la società ucraina legata ad Hunter Biden, il figlio dell’ex vice presidente. “Giuliani esprimeva il desiderio del presidente e sapevamo che queste indagini erano importanti per il presidente”, ha aggiunto.

Una situazione della quale “tutti erano al corrente, non c’era nessun segreto”, ha proseguito Sondland tirando in ballo molti alti funzionari della Casa Bianca e dell’amministrazione, a partire da Mike Pompeo: “Ancora il 24 settembre il segretario Pompeo dava indicazioni a Kurt Volker (ambasciatore Usa presso la Nato, ndr) di parlare con Rudy Giuliani”, citando anche un messaggio WhatsApp. “Il ministro Perry, l’ambasciatore Volker ed io abbiamo lavorato con Giuliani sulle questioni ucraine su diretto ordine del presidente degli Stati Uniti”, ha esplicitato poi l’ambasciatore. “Abbiamo seguito gli ordini del presidente”, “non volevamo lavorare con Giuliani. Semplicemente, abbiamo giocato le carte che ci sono state servite”, ha proseguito Sondland. Che ha tirato in ballo anche Mike Pence: “Avevo menzionato al vice presidente Pence, prima degli incontri con gli ucraini, che ero preoccupato che il ritardo negli aiuti fosse stato legato alla questione delle indagini. Ricordo di aver citato questo, prima dell’incontro con Zelensky”.

Finora Trump ha sempre negato che ci sia stato uno scambio tra gli aiuti militari Usa a Kiev, che aveva bloccato, e l’apertura di un’indagine sui Biden e le parole di Sondland complicano la sua posizione nell’inchiesta. Ma l’ambasciatore aggiunge una specifica importante: “Il presidente Trump non mi ha mai detto direttamente che l’aiuto” militare all’Ucraina “era condizionato” all’apertura di un’indagine sul suo rivale politico, ma “era chiaro a tutti che c’era un legame“. Il diplomatico ha quindi ammesso di aver parlato di questo “do ut des” agli ucraini, ma ha detto di averlo fatto sulla base della “propria deduzione”, a partire dal principio “due più due fa quattro”.

La deposizione getta una luce sinistra anche sui dispositivi di sicurezza utilizzati dagli Usa nelle comunicazioni con gli altri Stati. Sondland ha confermato di aver chiamato Trump da un ristorante di Kiev per dirgli che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “è un lecca culo, farà qualunque cosa tu voglia”, in relazione alla richiesta del tycoon di indagini sui Biden. “Sembra qualcosa che potrei dire, è il modo in cui io e Trump comunichiamo. Un sacco di parole di quattro lettere”, ha risposto ridendo l’ambasciatore. Che non si preoccupò del rischio che agenzie d’intelligence straniere potessero ascoltare la chiamata: “Ho sempre conversazioni non classificate da linee non sicure e cellulari. Se il tema non è classificato – e spetta al presidente decidere che cosa lo è -, e noi stavamo parlando, anche lui sapeva che era una linea aperta”. Cnn in precedenza ha riferito che vari ex ufficiali hanno dichiarato alta la probabilità che agenzie d’intelligence straniere potessero aver ascoltato la conversazione.

Il coinvolgimento di Pompeo era stato rivelato in mattinata dal New York Times. A metà agosto, riporta il quotidiano newyorkese, Sondland aveva informato il segretario di stato sulla bozza di dichiarazione a cui si era lavorato con gli ucraini, quella che avrebbe dovuto fare il neo leader di Kiev Volodymyr Zelensky per convincere Trump a invitarlo alla Casa Bianca. In seguito Sondland avrebbe discusso con Pompeo la possibilità di fare pressioni su Zelensky perché durante l’incontro nello Studio Ovale promettesse le indagini volute da Trump, per rompere così la situazione di stallo tra i due Paesi con gli aiuti militari a Kiev che erano stati congelati. E Pompeo – sostiene il Nyt – diede la sua approvazione al piano.

Proprio oggi la rivista Time riporta che Pompeo pensa di dimettersi e di correre per un seggio in Senato nel suo Kansas alle elezioni presidenziali del prossimo anno. Pompeo, riferisce il magazine citando tre alti esponenti repubblicani, intendeva restare alla guida del dipartimento di Stato sino all’inizio della prossima primavera, ma l’indagine sull’impeachment sta danneggiandolo politicamente e guastando le sue relazioni con Trump, spingendolo a rivedere i tempi per una exit strategy sicura. I tempi delle dimissioni, secondo Time, saranno decisi ora dalla sua abilità di uscire nel modo più tranquillo dall’amministrazione.

Nei giorni scorsi Trump lo aveva accusato di non aver fatto abbastanza per bloccare le testimonianze dei diplomatici, mentre al dipartimento sale la delusione per il fatto che non abbia difeso né l’ex ambasciatrice Usa a Kiev Marie Yovanovitch né il suo successore ad interim William Taylor, consentendo la politicizzazione degli affari esteri. Non c’è alcuna indicazione se Pompeo abbia discusso il suo piano con il presidente. Voci di una sua campagna per il Senato circolano da mesi e il capo della diplomazia ha detto finora di non avere intenzione di correre ma non ha escluso una sua candidatura.

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