Un quadro giuridico separato per i prodotti ottenuti con le nuove tecniche di gene-editing (o genome-editing), che potrebbero essere così esentate dalle normative sugli Ogm. E quindi dalle regole su valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura. È quanto viene prospettato in un documento, non ancora approvato, che raccoglie proposte politiche preliminari che gli uffici della Commissione europea ritengono debbano essere incluse nella prossima strategia Farm to Fork annunciata dal presidente Ursula von der Leyen e parte integrante del futuro Green Deal europeo. Una bozza di schema entrata in possesso di Greenpeace e che va in direzione opposta a una sentenza del 25 luglio 2018 pronunciata dalla Corte di giustizia europea, secondo la quale i nuovi Ogm derivati da tecniche di ingegneria genetica non possono essere esentati dalla normativa Ue sugli organismi geneticamente modificati. Regole per le quali sarebbe necessario un aggiornamento, secondo quanto dichiarato proprio di recente dall’attuale commissario europeo per la Ricerca, Carlos Moedas. D’altro canto la sentenza della Corte ha fatto molto discutere.

IL DIBATTITO ACCESO – Dopo quel pronunciamento, l’organismo di consulenza scientifica della Commissione europea (Scientific advisory mechanism) ha sottolineato la necessità di “migliorare la legislazione europea in modo che rifletta lo stato attuale delle conoscenze e delle evidenze scientifiche” sul gene editing, mentre in Italia il segretario generale di Assosementi, Alberto Lipparini, ha commentato che la sentenza “ha creato una frammentazione a livello internazionale”, sostenendo che “il genome editing consente di ottenere varietà come quelle che potrebbe produrre la natura. E che non sono Ogm” e, quindi, “non va assimilato al calderone del transgenico”. Il rischio è che i Paesi dell’Ue restino indietro rispetto al resto del mondo. Critiche sulla decisione della Corte sono state espresse anche da Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. Diverso il punto di vista della ong. Perché se è vero che le tecniche di editing genomico permettono applicazioni di una precisione e rapidità prima inimmaginabile, lo è altrettanto che dagli esseri umani alle piante, la frequenza di modificazioni non desiderate rappresenta tuttora una preoccupazione. “Le aziende biotech stanno usando come copertura il Green Deal europeo per introdurre clandestinamente Ogm nel nostro cibo e nei nostri campi”, dice a ilfattoquotidiano.it Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, sottolineando che l’approvazione di una simile proposta renderebbe impossibile per i consumatori europei “sapere cosa mangiano effettivamente e come è stato coltivato un pomodoro piuttosto che una qualsiasi verdura”. Non solo: neppure gli stessi agricoltori avrebbero informazioni sufficienti sui sementi che acquistano.

CHE COS’È IL GENE-EDITING – Le tecniche di gene-editing (o genome-editing) permettono la modifica diretta del materiale genetico delle piante in specifici punti del genoma. “Generalmente – spiega Greenpeace – ciò avviene mediante l’utilizzo di nucleasi, enzimi chiamati ‘forbici molecolari’, che recidono il Dna in punti specifici e innescano meccanismi di riparazione della pianta stessa (che comportano l’incorporazione nel genoma dei tratti desiderati)”. Tutte le tecniche di gene-editing hanno la capacità di modificare, inserire o eliminare una o più coppie di basi di Dna. Alcune applicazioni possono anche portare all’introduzione di nuovi geni all’interno del codice genetico della pianta. “Come accade per l’ingegneria genetica ‘tradizionale’ – spiega Federica Ferrario – anche le tecniche di gene-editing possono indurre modifiche non volute del materiale genetico”. Le ‘forbici molecolari’ danno quindi luogo ai cosiddetti ‘off-target effects’, vale a dire che recidono o alterano il Dna anche in altri punti, diversi da quelli in cui si intendeva intervenire, come sostenuto anche dalla Rete europea degli scienziati per la responsabilità sociale ed ecologica (Ensser). Sia le modifiche volute sia quelle indesiderate possono generare conseguenze importanti in termini di produzione di proteine e flussi metabolici, dando luogo a “effetti indesiderati e imprevedibili con implicazioni per la sicurezza di alimenti, mangimi e ambiente”.

IL TENTATIVO DI AGGIRARE LE REGOLE – Oltre alla valutazione di ogni nuova caratteristica degli Ogm (come ad esempio la tolleranza agli erbicidi), a oggi le normative Ue richiedono la valutazione di qualunque modifica involontaria e delle relative implicazioni per la sicurezza dell’ambiente e della salute di esseri umani e animali. “Queste valutazioni – spiega Francesca Ferrario – sono essenziali per soddisfare gli obiettivi di tutela dell’ambiente e della salute previsti dalle normative Ue. Ed è anche per garantire questi obiettivi che sementi, colture, alimenti e mangimi Ogm siano tracciabili ed etichettati”. Questo permette agli agricoltori, ai consumatori e ai governi di scegliere se utilizzare oppure no i prodotti derivanti da modifiche genetiche. “Bayer, BASF e Corteva – sottolinea Greenpeace – sono tra le multinazionali che sostengono un quadro giuridico separato per i nuovi Ogm”. Queste aziende hanno presentato numerose domande di brevetto globali per l’editing del genoma. Corteva ne ha inoltrate una sessantina e Bayer/Monsanto altre trenta. “Se le aziende si facessero strada – sostiene Greenpeace – i nuovi Ogm finirebbero nei nostri campi e sui nostri piatti senza prove e senza etichetta. Persino gli agricoltori, oltre che i commercianti, i rivenditori e i consumatori non avrebbero modo di evitarli”.

COSA ACCADE GIÀ OGGI – Già attualmente un ristretto numero di prodotti genome-edited sono sul mercato. “Lo è una varietà di colza (colza SU della Cibus, prodotta tramite Odm per essere resistente ad un erbicida) e una di soia (soia ad alto contenuto oleico della Calyxt, prodotta attraverso TALENs)” aggiunge la responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace. La colza della Cibus viene coltivata negli Stati Uniti e in Canada, mentre la soia Calyxt viene coltivata solo negli Usa. Per questo Greenpeace chiede al governo italiano e all’Ue di pretendere “che le importazioni di colza e soia dagli Stati Uniti e dal Canada siano certificate come libere da ‘nuovi Ogm’ non autorizzati nell’Ue”, istruire le autorità nazionali competenti per effettuare i controlli necessari e adoperarsi affinché “la rete europea di laboratori per la rilevazione di Ogm elabori metodi e strategie per identificare prodotti ‘genome edited’, sulla base di un chiaro mandato e finanziamenti dedicati dell’Ue”.

Articolo Precedente

Parco dello Stelvio, arriva la prima area sciistica al mondo completamente plastic free: il progetto in Val di Pejo

next
Articolo Successivo

Trivelle, le franchigie che piacciono alle compagnie non saranno abolite, ma solo sospese. Ambientalisti: “Grave passo indietro”

next