Il gruppo di ricerca Forensic Oceanography, composto da Charles Heller e Lorenzo Pezzani, partecipa con Liquid Violence alla biennale d’arte europea Manifesta 12 che si tiene quest’anno a Palermo (fino al 4 novembre). Il progetto è il risultato di diversi percorsi di ricerca sul processo di militarizzazione del Mediterraneo, che negli ultimi anni ha causato la morte di migliaia di migranti. Composto da quattro lavori video, The Crime of Rescue, Mare Closum, Liquid Traces Death by Rescue, Liquid Violence mette in evidenza il difficile rapporto tra media, politica e gestione dei flussi migratori.

Secondo i ricercatori di Forensic Oceanography, Charles Heller e Lorenzo Pezzani, negli ultimi anni il Mar Mediterraneo è diventato un’area di confine militarizzato, nel quale gli scenari di violenza che vi hanno regolarmente luogo hanno causato la morte di decine di migliaia di migranti. Incrociando documenti ufficiali, dati metereologici, testimonianze, immagini satellitari, materiale audiovisivo, e con il supporto sofisticate tecnologie, Forensic Oceanography ricostruisce nel dettaglio alcuni di questi tragici avvenimenti. L’obiettivo è quello di confutare quelle che vengono definite factual lies, menzogne fattuali, ovvero false ricostruzioni di eventi basate su elementi parziali ed isolati dal loro contesto, fornendo ricostruzioni realizzate seguendo un rigoroso metodo scientifico. Secondo Heller e Pezzani, esempi di factual lies sono le ricostruzioni dei fatti su cui sono fondate le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina all’equipaggio della Iuventa, l’imbarcazione della Ong tedesca Jugend Rettet. L’inchiesta della procura di Trapani, che va ormai verso l’archiviazione, è basata su materiale fotografico e video che mostrerebbe tre casi in cui i volontari della Ong restituiscono ai trafficanti le imbarcazioni che trasportavano migranti. Sulla base di una documentazione più ampia di quella utilizzata per le indagini, i due ricercatori dimostrano, in The Crime of Rescue, come in realtà i volontari della Iuventa abbiano trasportato le imbarcazioni dalla parte opposta rispetto a quella delle coste libiche, per poi distruggerle o abbandonarle.

Nel tentativo di contrastare ciò che viene identificato come un processo di criminalizzazione delle ONG, Forensic Oceanography si concentra particolarmente sulle drammatiche condizioni in cui i volontari delle organizzazioni umanitarie svolgono il loro lavoro. Infatti a causa dell’assenza di supporto adeguato da parte delle autorità costiere libiche ed europee, che in alcuni casi addirittura ostacolano le operazioni di soccorso, spesso decine di migranti perdono la vita durante le operazioni di salvataggio. È questo il caso del naufragio avvenuto il 6 novembre 2017, durante il quale venti persone hanno trovato la morte. Forensic Oceanography ha ricostruito gli avvenimenti di quest’episodio nel video Mare Closum. Qui è mostrato chiaramente come un intervento della Guardia Costiera Libica, coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo della Guardia Costiera Italiana, abbia ostacolato la ONG Sea-Watch durante le manovre di soccorso di 130 migranti. Mare Closum è stato poi utilizzato come documento per un ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di diciassette sopravvissuti contro il governo Italiano.

Mare Clausum: The Sea Watch vs Libyan Coast Guard Case (Italian) from Forensic Architecture on Vimeo.

Forensic Oceanography è parte di un più ampio gruppo di ricerca, Forensic Architecture, che ha sede presso Goldsmiths, Università di Londra. Oltre al Mar Mediterraneo, Forensic Architecture svolge le proprie indagini in luoghi quali Siria, Yemen, Somalia e Palestina, dove conflitti armati e forti instabilità politiche creano vuoti legislativi che permettono a governi e organizzazioni militari di commettere impunemente crimini contro popolazioni civili e allo stesso tempo di eliminare le prove dei delitti commessi. Forensic Architecture opera in queste zone grigie con l’obbiettivo di produrre le documentazioni necessarie alla ricostruzione degli aspetti spaziali, politici ed estetici di determinati scenari di violenza. Per questi motivi Forensic Architecture definisce la propria ricerca come attività “forense”. Questo termine è però utilizzato nella sua accezione più ampia e originaria. Infatti, in epoca romana il termine “forense” definiva non soltanto l’attività giuridica dei tribunali, bensì tutte le attività pubbliche – politiche, sociali ed economiche – che si svolgevano nel foro. Quindi per restituire la complessità degli avvenimenti su cui Forensic Architecture porta avanti la propria ricerca, essa opera secondo varie metodologie d’indagine e su vari livelli disciplinari, tenendo conto del maggior numero possibile di fattori che contribuiscono alla definizione di un determinato scenario di violenza. Per giunta, espandendo il concetto originario di “forense”, essa rivolge i risultati delle proprie ricerche ai diversi luoghi in cui si svolge il dibattito pubblico. Non soltanto quindi le aule dei tribunali, ma anche università, stampa, internet, musei, centri di ricerca e biennali d’arte contemporanea.

Inoltre, includendo elementi di carattere sensibile e percettivo nella ricostruzione di avvenimenti in cui donne e uomini sono vittime di violenze arbitrarie, i ricercatori di Forensic Architecture non solo rendono gli eventi ricostruiti nella loro complessità, ma ne restituiscono anche la dimensione emotiva. In questo modo viene invertita la tendenza secondo la quale eventi tragici, come quelli che regolarmente avvengono nel Mar Mediterraneo, sono solitamente ridotti a semplici notizie giornalistiche, cosa che sembra aver alimentato indifferenza e cinismo verso chi continua a morire nel tentativo disperato di raggiungere il continente europeo. Pertanto, il rigore scientifico con cui i ricercatori di Forensic Architecture producono le proprie ricostruzioni, unito al carico di dolore e disperazione delle vittime che emerge dai loro lavori, permette non solo di avere una visione obbiettiva di ciò che accade in questi luoghi, ma anche di stabilire una connessione empatica con le vittime, cosa di cui l’opinione pubblica europea sembra essere sempre meno capace.

 

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