“Il ponte Morandi viene di solito indicato come un capolavoro dell’ingegneria, in realtà è l’esempio del fallimento dell’ingegneria”. Era il maggio 2016 e l’ingegnere Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, intervistato da Primo Canale, parlava in questi termini del viadotto sul Polcevera, crollato nelle scorse ore facendo decine di morti. Una riflessione simile a quella che poi riproporrà qualche mese dopo a Ingegneri.Info. “La struttura”, si leggeva, “ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati”.

Il viadotto è stato effettivamente interessato negli anni da imponenti lavori di manutenzione straordinaria, tra cui la sostituzione dei cavi di sospensione a cavallo della fine anni ’80 primi anni ’90, con nuovi cavi affiancati agli stralli originari. Il viadotto prende il nome dal suo progettista, Riccardo Morandi, ingegnere romano legato al razionalismo costruttivo di fine ‘800, che brevettò un sistema di precompressione denominato “Morandi M5” che applicò a diverse sue opere. L’opera, costruita tra il 1963 e il 1967, anno della sua inaugurazione, è noto anche come “Ponte delle Condotte” dalla società che lo costruì, e “Ponte di Brooklyn” per una forma che richiama molto molto vagamente il celebre ponte americano. Lungo 1.182 metri, campata maggiore di 210 metri, il ponte venne costruito con una struttura mista: cemento armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile. “Il Viadotto Morandi”, spiegava Brencich a Ingegneri.Info, “ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati, è necessario ricordare un’erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità) del calcestruzzo che ha prodotto un piano viario non orizzontale. Ancora nei primi anni ’80 chi percorreva il viadotto era costretto a fastidiosi alti-e-bassi dovuti a spostamenti differiti delle strutture dell’impalcato diversi da quelli previsti in fase progettuale. Solo ripetute correzioni di livelletta hanno condotto il piano viario nelle attuali accettabili condizioni di semi-orizzontalità”.

A Primo Canale invece Brencich disse: “Quando venne progettato il primo ponte di questo tipo sulla baia di Maracaibo alla fine degli anni ’50”, spiegava, “l’idea di fare il ponte con la sagoma a cavalletto bilanciato sembrava un’idea molto innovativa. E piacque molto. Ne vennero costruiti però solo 3: sul Polcevera, a Maracaibo in Venezuela e a Wadi el-Kuf in Libia. Perché fallì la tipologia? Perché il ponte ebbe a due anni dall’apertura un incidente drammatico: Morandi seguendo una linea di progettazione già all’epoca superata, non previde che una nave potesse sbagliare campata. I ponti hanno campate più alte delle altre per far passare le navi: una petroliera ebbe un black out elettrico, si blocco e colpì non la campata prevista. Ci furono 7 morti“. Brencich parla inoltre del fatto che vennero fatti lavori di manutenzione profonda: “Il Ponte Morandi negli anni ’90 ebbe una quantità di lavori enorme, gli stralli vengono affiancati da altri cavi d’acciaio. Non è un campanello d’allarme, ma indice che hanno rivelato una corrosione molto più veloce e hanno dovuto integrare la struttura originaria per impedire che insorgessero condizioni di pericolo. Però, quando parliamo di un ponte, se dopo 30 anni si devono sostituire gli elementi strutturali significa che è un ponte sbagliato. Un ponte deve durare 70-80 anni senza manutenzione di questo tipo. Dopo 30 anni ha dovuto essere rifatto in maniera imponente”. Inoltre “venne sbagliato il calcolo della deformazione viscosa, cioè di cosa succede al cemento armato nel tempo”. Tutti questi elementi significano che si tratta di “un ponte che dovrà essere sostituito”, diceva nel 2016: “Ci sarà un momento in cui i costi di manutenzione supereranno i costi di ricostruzione del ponte: a quel punto sarà giunto il momento di ricostruirlo. Per quanto ne so, a fine anni ’90 i lavori hanno avuto un costo pari all’80 per cento delle spese di ricostruzione”.

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