Aveva introdotto il presunto esponente di una famiglia della ‘ndrangheta agli uomini della Juventus. Per la procura generale lo aveva fatto sapendo di aver avvantaggiato gli interessi dalla malavita nel bagarinaggio e per questo la Corte d’appello di Torino ha condannato Fabio Germani, 43 anni, ex ultras bianconero che con i suoi modi affabili era entrato in contatto con calciatori, allenatori e soprattutto funzionari del club.

L’accusa nei suoi confronti era pesante, concorso esterno in associazione mafiosa, e pesante è anche la condanna: 4 anni, cinque mesi e dieci giorni, di poco inferiore a quella di Rocco Dominello, 42 anni, appartenente a una famiglia legata alla cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Quest’ultimo ha avuto una condanna a 5 anni per associazione mafiosa e tentato omicidio, inferiore a quella riportata in primo grado. Suo padre, Saverio Dominello, invece si è beccato una pena di 8 anni e otto mesi, minore rispetto ai dodici anni, un mese e dieci giorni stabiliti dal tribunale. Altre undici persone sono state condannate dalla Corte d’appello al termine del processo “Alto Piemonte”, mentre soltanto uno degli imputati, Michele Dominello (fratello minore di Rocco), ne è uscito indenne: è stato assolto dall’accusa di estorsione.

La procura generale del Piemonte, rappresentata in aula dal pm Marcello Tatangelo, aveva chiesto una conferma delle condanne stabilite il 30 giugno 2017 dal tribunale e aveva chiesto anche di condannare Germani, che in primo grado era stato assolto. “Se una critica si può muovere alla sentenza – ha scritto Tatangelo in una memoria – è proprio il non avere colto il ruolo di Germani che ha consentito attraverso la spendita delle sue relazioni, che Dominello potesse assumere il ruolo di mediatore , o come definito dal Giudice, di ‘garante ambientale’”. A Germani il responsabile della biglietteria della Juventus, Stefano Merulla (non indagato) aveva infatti fatto notare la forza del suo amico: “Penso che (Dominello, nda) abbia una certa influenza in certe situazioni perché altrimenti questo signore non verrebbe… ho la percezione che abbia un’influenza abbastanza forte all’interno della curva, perché altrimenti questo signore non verrebbe…”. E sempre Merulla, in un’altra conversazione intercettata dagli agenti della Squadra mobile della questura di Torino, ricorda a Germani un fatto: “Tu lo hai portato”.

Secondo il pm Tatangelo, Germani aveva fornito “un autonomo contributo di rafforzamento” alla criminalità ed “era ben consapevole degli interessi della ‘ndrangheta nel settore del  bagarinaggio, era bene a conoscenza della intraneità di Rocco Dominello e del padre, e aveva svariate frequentazioni nel mondo ndranghetista piemontese, che a sua volta lo conosceva anche come frequentatore della famiglia Agnelli”. Il difensore di Germani, Michele Galasso, però non ci sta: “Rispetto alla sentenza di primo grado non c’erano elementi nuovi che potessero giustificare questo cambiamento così radicale – spiega – Leggeremo le motivazioni e ricorreremo in Cassazione”.

Nel complesso “l’interesse della ‘ndrangheta per il bagarinaggio risale ad almeno dieci anni prima dei fatti oggetto del presente giudizio – è scritto nella memoria della procura generale – e si concretizzava attraverso interazioni dirette con gruppi di ultras, beneficiari di biglietti da rivendere”. Mettendo insieme come tessere di un puzzle gli elementi sorti nel corso di diverse indagini, emergono legami tra alcuni gruppi della Curva Scirea e organizzazioni criminali interessate a trarre profitto dai biglietti. A rafforzare quest’ipotesi, poi, l’accusa ha portato alcune dichiarazioni rese da un pentito nel 2003 e quelle rese negli ultimi anni da altri collaboratori di giustizia.

Da questa indagine della Direzione distrettuale antimafia di Torino è nato anche un procedimento sportivo che ha riguardato il presidente della Juventus Andrea Agnelli, l’ex direttore commerciale Francesco Calvo, il responsabile della sicurezza Alessandro D’Angelo e quello della biglietteria Stefano Merulla. Erano accusati a vario titolo di aver violato le norme del codice sportivo che vietano i contatti con associazioni non autorizzate di tifose, il sostegno alle tifoserie e la cessione di biglietti: i primi due sono stati condannati dalla Corte d’appello all’inibizione (ma, al momento del verdetto, Agnelli aveva già scontato la sanzione), mentre gli ultimi due sono stati scagionati.

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