Il presidente vuole convocare una “Assemblea Costituente del popolo”, ma per l’opposizione si tratta soltanto di una mossa per cercare di mantenere il potere. Nuovi scontri in Venezuela dopo che il primo maggio Nicolas Maduro ha annunciato la nascita di una nuova costituente  per riformare la struttura giuridica dello stato e “portare la pace al nostro Paese”. Una mossa subito denunciata come golpista dall’opposizione, che da settimana protesta contro il regime sfidando la dura repressione delle forze di polizia.

“Non sto parlando di una Costituente dei partiti o delle elite, intendo dire una Costituente femminista, giovanile, studentesca, una Costituente indigena, ma anzitutto una Costituente profondamente operaia, decisamente operaia, che appartenga profondamente alle organizzazioni comunali”, ha annunciato Maduro in un comizio in occasione della tradizionale sfilata della Festa dei Lavoratori. Il presidente non ha comunque chiarito se la convenzione riformerà l’attuale costituzione, in vigore dal 1999, o dovrà abolirla per riscriverla.

Julio Borges, presidente del Parlamento – in mano all’opposizione – ha già denunciato che questa iniziativa equivarrebbe a “una Costituente truffa, inventata solo per distruggere la Costituzione attuale e cercare di fuggire così all’inesorabile verdetto delle elezioni” che il governo chavista ha ritardato o sospeso da quando ha perso la maggioranza nel Potere Legislativo, nel dicembre del 2015.  “Il colpo di stato continua – ha scritto il leader dell’opposizione, Henry Ramos Allup, su Twitter – quello che Maduro ha ideato non è costituzionale, perché non avere elezioni da tempo necessarie?”.  L’opposizione chiede nuove elezioni, il rilascio dei prigionieri politici, il pieno ritorno dei poteri all’Assemblea Nazionale e l’accesso ad aiuti umanitari per alleviare la grave situazione economica in cui versa il Paese, dove ormai mancano medicinali e cibo.

Nelle piazze di Caracas, intanto, le unità antisommossa della polizia e la Guardia Nazionale sono già intervenute con gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Sulla stampa online e i social network si moltiplicano testimonianze, foto e video dell’intervento delle forze dell’ordine nella zona di El Paraiso e sulla Avenida Victoria, nell’ovest della capitale. In tutta la città la polizia è molto presente, e le autorità hanno chiuso oltre 30 stazioni della metro, oltre ad avere organizzato numerosi posti di blocco.

Momenti di tensione si sono registrati quando i manifestanti hanno cercato di raggiungere, superando i blocchi degli agenti in assetto antisommossa, l’ufficio delle commissione elettorale nazionale ed alla sede della Corte Suprema: la folla è stata dispersa con gas lacrimogeni. Negli scontri è rimasto ferito un deputato dell’opposizione. Lo stesso è avvenuto con il corteo che partiva dalla zona est della capitale: quando i manifestanti hanno cercato di entrare in una delle strade principali gli agenti hanno cominciato a usare lacrimogeni per allontanarli.
Le manifestazioni antigovernative si susseguono dall’ inizio di aprile, con un bilancio di almeno 30 morti.

Esattamente un mese fa, infatti, una sentenza del Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) venezuelano aveva esautorato completamente il Parlamento unicamerale in mano all’opposizione antichavista, assumendone tutte le funzioni e dando così pieni poteri al governo: una mossa che era stata ribattezzata Madurazo, l’autogolpe del presidente. Le proteste di piazza, però, avevano influito sulla decisione della corte suprema che pochi giorni dopo aveva annullato le sentenze con le quali aveva assunto i poteri costituzionali esautorando l’Assemblea Nazionale e abolendo l’immunità parlamentare dei deputati. Un clamoroso dietrofront arrivato dopo che lo stesso Maduro, presiedendo una riunione urgente del consiglio nazionale di Difesa, aveva “esortato” il tribunale supremo a “rivedere” le sue sentenze, “per mantenere la stabilità istituzionale e l’equilibrio fra i poteri attraverso i meccanismi esistenti nell’ordinamento legale venezuelano”. E adesso, lo stesso presidente, prova a riscrivere la carta costituzionale da solo. O meglio con un’assemblea “femminista, giovanile e indigena”.

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