In politica, la teoria della distrazione è stata spesso usata per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà dei governi in carica. La politica estera è stata spesso il mezzo usato, dato che più di altre materie riesce a portare lo sguardo fuori dai confini nazionali. Per questo la decisione del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di sferrare un attacco con 59 missili Tomahawk contro la base aerea militare siriana di al-Shayrat potrebbe avere più obiettivi. Quello, dichiarato, di impedire altri attacchi chimici da parte del regime di Bashar al-Assad, ma anche, secondo il generale Carlo Jean, “di ricompattare il fronte repubblicano, diviso sulla figura e le politiche di Trump, e mascherare i recenti insuccessi nel campo delle riforme”. Senza dimenticare la doppia valenza anche in materia di politica estera: “Questo è anche un avvertimento alla Corea del Nord – continua il generale – per dire che il tempo della ‘pazienza strategica’ obamiana è finito”.

“L’attacco mirato” americano, come lo ha definito lo stesso Trump, partito da due cacciatorpediniere della Marina ha raggiunto i risultati sperati. John McCain, senatore repubblicano esponente dell’ala più critica nei confronti del Presidente, ha espresso soddisfazione per l’operazione militare: “Un’azione così orribile – ha dichiarato a Fox News riferendosi all’attacco chimico nel villaggio di Khan Shaykhun – necessitava di una risposta da parte degli Stati Uniti e credo che il Presidente abbia l’autorità per prendere una decisione del genere”. “L’operazione – continua Jean – è servita a ricompattare il fronte repubblicano, le parole di McCain lo testimoniano. Inoltre, ha spostato l’attenzione dai problemi che l’amministrazione sta affrontando in politica interna”.

E i problemi non sono pochi. La recente rimozione di Steve Bannon, capo degli strateghi del Presidente, dal Consiglio Nazionale di Sicurezza, l’organo che discute le decisioni più importanti in materia di Politica Estera e Sicurezza Interna, rappresenta un duro schiaffo per il magnate americano che dell’ex direttore di Breitbart News, sito di riferimento dell’ultradestra, ha fatto il suo ideologo. Un’altra poltrona a saltare nel National Security Council dopo quella di Michael Flynn, coinvolto nello scandalo Russiagate. Ma questa estromissione è solo l’ultima di una serie di sconfitte che hanno macchiato la reputazione di grande riformatore che il tycoon si era creato durante la campagna elettorale. Come, ad esempio, la plurima bocciatura del tanto discusso “Muslim Ban” o il forzato ritiro della sbandierata riforma sanitaria che avrebbe dovuto sostituire l’odiato Obamacare. “Non ha i voti dei Repubblicani”, ha spiegato l’amministrazione che ha quindi evitato di mandare la proposta in Parlamento.

L’altro sgambetto, invece, era arrivato dall’ala democratica sulla nomina di Neil Gorsuch a giudice della Corte Suprema. Una proposta che per cinque “sì” non ha raggiunto la maggioranza di 60 voti necessaria all’approvazione. Una battaglia, quella sul posto vacante alla Corte Suprema, che l’amministrazione Trump non ha però intenzione di perdere: per questo, dopo i risultati, il Senato ha fatto scattare la cosiddetta “nuclear option”, ossia una revisione della maggioranza necessaria per la nomina del giudice della Corte Suprema che passa, così, da 60 a 51 voti su 100.

L’operazione militare di giovedì notte rimane, comunque, un avvertimento a più di un attore internazionale. Prima di lanciare i 59 missili, l’amministrazione ha avvertito il Cremlino, quindi indirettamente il governo di Damasco che ne è uno dei principali alleati, e altri Paesi dell’area. “L’intento non è quello di dichiarare guerra – continua Jean – bensì di avvertire che l’uso di armi chimiche contro la popolazione non è tollerato”. Un avvertimento che non si limiterebbe al solo governo siriano ma, in concomitanza con la due giorni di incontri tra Trump e il Presidente della Cina, Xi Jinping, nella residenza di Mar-A-Lago, anche alla dittatura nordcoreana che negli ultimi mesi sta portando avanti una politica provocatoria nei confronti del Giappone, alleato degli Usa, con diversi test missilistici nel Mar del Giappone. “La concomitanza degli eventi, l’azione militare e la visita di Xi Jinping, potrebbe non essere casuale – dice il generale – questo attacco suona come un avvertimento anche per il regime di Pyongyang, come a dire che ‘il tempo della pazienza strategica obamiana è finito. Quindi ponderate bene le vostre azioni perché gli Stati Uniti sono pronti a colpire’. E nel caso di un attacco alla Corea del Nord, potenza nucleare, è ovvio che non si tratterebbe di un avvertimento”.

A chi teme che l’operazione militare statunitense possa rappresentare un elemento di allontanamento tra Trump e il Presidente russo, Vladimir Putin, Jean risponde che questo lancio di missili è avvenuto solo dopo aver avvertito Mosca, che non ha in Putin il destinatario finale del messaggio: “Si tratta di un avvertimento – conclude – niente di più. Mosca e altri partner locali sono stati informati per tempo del piano. Inoltre, la Russia non può permettersi di tirare troppo la corda con gli Stati Uniti per diversi motivi. Prima cosa, non ha le capacità militari sufficienti per affrontare una potenza militare come quella americana che, tra l’altro, ha un accesso al Mediterraneo molto più agevole rispetto a Mosca che, invece, ha come passaggio obbligato il Bosforo turco. Secondo, se Washington mettesse in atto una strategia di ribassamento del prezzo del petrolio, Mosca potrebbe veramente finire in ginocchio”.

Twitter: @GianniRosini 

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