Il sindaco che non si ricandida, il Pd e Forza Italia che trovano un candidato solo dopo aver esaminato decine di posizioni e persino il Movimento 5 Stelle spaccato tra due nomi per una sola poltrona. Succede a Piacenza, dove i partiti di ogni estrazione politica non riescono a trovare il proprio pretendente alla carica di sindaco nonostante manchino solo due mesi alle amministrative. Elezioni alle quali Paolo Dosi, primo cittadino uscente del Pd, ha deciso di non ricandidarsi. Nel 2012 il suo slogan recitava: “Niente paura, i migliori anni sono davanti a noi”. Cinque anni dopo quelle parole si sono dimostrate un boomerang micidiale, rinfacciate a più riprese dalle opposizioni viste le difficoltà ad affrontare i problemi economici comuni a tante amministrazioni. E alla fine Dosi ha deciso di non tentare nemmeno di farsi rieleggere.

Solo che da quel momento in poi i nomi dei candidati più accreditati alla successione di Dosi sono praticamente evaporati uno dopo l’altro e per ragioni diverse. Ci sono i big che hanno ritirato la propria disponibilità a candidarsi come Pier Luigi Bersani (finché è rimasto nella “vecchia ditta”)  a Paola De Micheli per il Pd, e c’è chi è stato messo da parte dal suo stesso partito come Massimo Polledri, troppo ingombrante nel nuovo corso della Lega.Poi c’è anche chi ha preferito rimanere in ruoli difficili da mollare in tempo di crisi: Tommaso Foti di Fratelli d’Italia e Matteo Rancan della Lega Nord sono consiglieri regionali, con ben altri responsabilità rispetto a un sindaco. E poi c’è chi, non avendo di questi crucci, ha deciso di crearseli in laboratorio: il Movimento 5 Stelle, che si è ritrovato con due candidati per una sola poltrona.  Gli unici a non aver avuto problemi nel fare sintesi nella scelta dei candidati sono stati i due estremi: la sinistra, che ha scelto Luigi Rabuffi con la lista civica Piacenza in Comune e la destra, con Forza Nuova che sarà rappresentata da Emanuele Solari.

In casa centrodestra lo psicodramma si è vissuto negli ultimi giorni, con la spaccatura ormai definitiva tra Forza Italia regionale, retta dall’onorevole Massimo Palmizio, e quella locale e nazionale. Per scegliere un nome, gli azzurri avevano commissionato un sondaggio ad Alessandra Ghisleri. Risultato: Patrizia Barbieri, Luigi Cavanna, Massimo Trespidi, Fabio Callori, Lino Girometta e Paolo Mancioppi, in ordine di voti. Una classifica che ha escluso Callori, favorito dal partito locale, e ha aperto il ballottaggio fra Barbieri e Trespidi. La prima è risultata più votata, il secondo più accreditato al ballottaggio contro il Pd. A questo punto, dopo una consultazione con gli iscritti riuniti in sede, il segretario piacentino Jonathan Papamarenghi ha diramato una nota per ufficializzare il sostegno a Barbieri. Una comunicazione, però, smentita a stretto giro di posta da Massimo Palmizio, che da Bologna, attraverso la vice coordinatrice regionale Anna Borsarelli, dichiarava: “A dispetto di quanto dicono i giornali le trattative su Piacenza non sono chiuse e Forza Italia tra Trespidi e Barbieri sceglie Trespidi. La questione è sul tavolo del Presidente Berlusconi”. Ore di gelo. La situazione si è sbloccata quando da Roma si è mosso il senatore Altero Matteoli: “Il candidato unitario del centrodestra sarà l’avvocatessa Patrizia Barbieri, l’unico nome che garantisca di tenere assieme tutta la coalizione”. E infatti il nome di Barbieri raccoglie l’applauso della Lega applaude: era pronta a sostenere anche Trespidi, ma l’avvocatessa è il candidato favorito da Matteo Salvini.

Non va meglio dalle parti del Partito Democratico, che a Piacenza è arrivato alla scelta del suo possibile sindaco tra mille incertezze. Nessun sondaggio, ma una miriade di consultazioni. Non tra gli iscritti con le primarie, ma fra i vertici del partito che in stile headhunter, i “cacciatori di teste” delle grandi aziende, hanno vagliato curriculum e sostenuto colloqui. Infiniti i nomi passati al vaglio. Tra tanti che hanno declinato l’invito e altrettanti giudicati non in grado di riunire le varie anime, alla fine è stato scelto Paolo Rizzi, professore della Cattolica non iscritto al Pd, che alla prima uscita ha dichiarato: “Dobbiamo recuperare l’identità, l’orgoglio e la voglia di fare. E lasciar perdere le menate dei partiti”. Ma in concomitanza con la sua investitura, ha iniziato a farsi largo la candidatura dell’attuale assessore al Welfare, Stefano Cugini. Lui sì, iscritto al Pd. La sua candidatura è arrivata dalla rete, dove è nata la pagina facebook “Io sto con Cugio”: il diretto interessato non si è smarcato, mettendo in imbarazzo la segreteria locale.

Contestualmente, Articolo 1 – il nuovo soggetto creato dai dissidenti democratici-  sta preparando il terreno per un candidato autonomo anche all’ombra del Gotico. A sostenerlo in prima persona proprio Pier Luigi Bersani con una delle sue battute: “Non abbiamo ancora battezzato il bambino che c’è già molto da fare”. Il nome più in voga per i Democratici e Progressisti è quello dell’ex assessore Francesco Cacciatore, fedelissimo bersaniano, “epurato” all’avvento dell’era renziana.

Una situazione frammentaria, della quale il Movimento 5 Stelle avrebbe potuto approfittare ma a Piacenza, invece, i pentastellati hanno dimostrato evidenti divisioni. Per la verità, il M5s era partito mesi prima nella ricerca del suo candidato rispetto agli altri schieramenti ma ha vissuto l’agonia più imprevista. Già l’8 febbraio dal meetup locale era emersa la figura di Rosarita Mannina, avvocato di 63 anni che si era guadagnata la fiducia di 38 votanti nelle elezioni online. Una consultazione subito contestata dai consiglieri comunali del M5s, Andrea Gabbiani, Mirta Quagliaroli e Barbara Tarquini: non tanto per l’esiguità dei partecipanti al voto, quanto per la presunta incandidabilità della Mannina. L’avvocato aveva infatti già portato a termine due mandati, dal ’90 al 93 come consigliere comunale e dal ’98 al 2002 come assessore. Nel secondo caso non si trattava di un ruolo elettivo – era stata chiamata dal sindaco dell’epoca senza essere stata eletta al consiglio – ma il suo trascorso in giunta è risultato un cavillo in grado di far insorgere larga parte dei militanti.

E così, dopo una serie di veleni legati anche alla circolazione di dossier contro i consiglieri uscenti, il Movimento è tornato al voto mettendo a nudo l’aspetto che Beppe Grillo e Davide Casaleggio temono di più: le correnti interne. A spuntarla, con 59 voti a 31, è stato Andrea Pugni, 46 anni, direttore di banca. Un volto nuovo non solo nella politica piacentina ma anche nell’impegno tra gli attivisti del M5s. Insomma, in questo bailamme, è difficile ipotizzare un favorito in vista del voto dell’11 giugno. Anche perché, in un clima di lotte interne e nessun programma ancora presentato, l’unica che sembra essere in crescita è purtroppo la distanza dei piacentini dalla politica.

 

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