L’otto marzo, quest’anno, torna a essere davvero la Giornata mondiale della donna, attraverso uno sciopero globale organizzato dalle donne di oltre 40 paesi, contro la violenza maschile in tutte le sue forme. Rilanciare il significato di questa data, che storicamente è sempre stata l’occasione per donne e ragazze di rivendicare i propri diritti ma anche denunciare quanta strada c’era e c’è ancora da fare, è la forza di questa iniziativa che vede anche il coinvolgimento delle donne italiane.

In Italia lo sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo (lavoro di cura) è stato promosso dalle femministe di Non una di meno che già il 26 novembre hanno portato a Roma più di 200mila persone in una grande manifestazione contro la violenza maschile sulle donne e che, il giorno seguente, si sono riunite in assemblea per l’inizio della scrittura di un piano femminista contro la violenza.

Le Nazioni unite definiscono quest’ultima come “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse minacce, coercizione o privazione arbitraria della libertà che avvenga nella vita pubblica o privata”. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) siamo di fronte a “un problema di salute di proporzioni globali enormi” che colpisce un terzo delle donne e delle ragazze nel mondo.

Parliamo quindi di un fenomeno ben radicato in tutto il pianeta, una questione strutturale che attraversa diverse società e richiede un approccio politico, culturale e sociale congiunto e non dei piani antiviolenza che rispondono a un’ottica emergenziale. A tal fine il piano femminista antiviolenza proposto da Non una di Meno vuole essere “un documento costruito dal basso, che aspira a raccogliere definizioni, pratiche e metodologie contro la violenza maschile sulle donne. Una violenza che è articolata in una molteplicità di forme e aggredisce tutti i campi dell’esistente: dal lavoro alla salute sessuale e riproduttiva, passando per la formazione e la narrazione mediatica che da sempre utilizza strumentalmente i corpi delle donne”.

Nei nostri progetti sul campo ma anche in tutto il lavoro di formazione che svolgiamo in Italia abbiamo imparato concretamente a vedere la profonda interconnessione tra i vari diritti e come ve ne siano di fondamentali per la realizzazione di tutti gli altri. La questione della salute delle donne resta centrale e una vita libera dalla violenza maschile è il primo passo; il secondo è avere accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e quindi poter scegliere della propria vita e del proprio corpo. I diritti sessuali e riproduttivi hanno infatti un impatto sullo stato di benessere complessivo, con effetti sociali ed economici di vasta portata. Nei paesi in cui le persone hanno accesso a servizi completi per la salute sessuale e riproduttiva, compresa un’informazione adeguata sui metodi e gli strumenti contraccettivi, è possibile realizzare importanti progressi nello sviluppo, riducendo la povertà e favorendo persino la crescita economica. A fronte di migliori condizioni di salute per donne e ragazze si aprono infatti maggiori opportunità di istruzione, lavoro, coinvolgimento nella comunità, partecipazione politica ai processi decisionali.

Assicurare alle donne cure prenatali e ostetriche con personale qualificato e rispettoso in un ambiente sicuro, garantire a quelle con complicazioni l’accesso tempestivo al pronto soccorso e a cure ostetriche di qualità, fornire informazioni corrette sulle malattie a trasmissione sessuale, Hiv e Aids vuol dire promuovere scelte sessuali e riproduttive sane, autonome e sicure. Inoltre, i servizi volti alla salute sessuale e riproduttiva sono spesso quelli che accolgono chi ha subito violenze. Creare, potenziare e favorire l’accesso di donne e ragazze a tali servizi non significa solo garantire un diritto fondamentale ma permette di affrontare e prevenire questo grave fenomeno.

Denunciare quindi le molteplici forme di violenza e la sua complessità articolata ha portato a questa tappa dell’8 marzo e all’idea di uno sciopero globale che faccia emergere anche la condizione lavorativa in cui si trova il mondo femminile. L’8 marzo si fermeranno quindi le lavoratrici precarie, dipendenti, autonome e disoccupate, del settore pubblico e di quello privato, grazie alla copertura sindacale garantita a tutte e tutti per 24 ore. Oltre allo sciopero lavorativo, sottolineano le organizzatrici, è possibile aderire anche trovando un momento della giornata per partecipare agli eventi della città, oppure non esercitando, a titolo esemplificativo, una delle tante attività domestiche o di cura che non vengono riconosciute né retribuite.

Aidos che lavora da sempre per i diritti, la dignità e la libertà di scelta di donne e ragazze aderisce allo sciopero globale.
L’8 marzo sono previsti presidi, mobilitazioni, flash mob in tante città italiane, con una convergenza oraria di diversi cortei nel pomeriggio, a Roma il corteo è alle ore 17 al Colosseo. I colori previsti dallo sciopero sono il nero e il fucsia. Lo slogan scelto, “Se le nostre vite non valgono noi ci fermiamo!

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