Un mio vecchio direttore diceva: “Le querele sono medaglie”. Lo diceva forse perché lui, direttore di un piccolo giornale di provincia totalmente asservito al potere, non sapeva neanche cosa significasse fare il giornalista e, quindi, non ne aveva mai presa una. Le querele non sono medaglie, le querele sono rogne inevitabili. Sono rogne perché, nella stragrande maggioranza dei casi, i giornalisti non hanno alle spalle la copertura economica e legale di un editore solido e perché a volte, con i tempi della giustizia italiana, fanno in tempo a veder crescere i propri figli senza che – nel caso di un processo – si arrivi a sentenza. E sono inevitabili perché, per quanto ci si sforzi di raccontare la verità (anche putativa), dopo aver verificato i fatti che si vanno a narrare, le querele sono utilizzate spesso come strumento di intimidazione nei confronti di chi fa solo il proprio dovere.

Come si fa, allora a evitare le rogne? Si scrive bene.

Che non significa solo scrivere in italiano corretto (è sempre meglio ribadirlo!), ma anche e soprattutto essere inattaccabili. Una notizia di cronaca, una volta “annusata” o ricevuta, va sviluppata e verificata con controlli incrociati. Non basta l’attendibilità di una fonte, neanche di quelle ufficiali. Serve la costanza dell’investigatore, che prima di svelare l’assassino mette insieme i pezzi di un puzzle. E, se ne manca anche uno solo, non può essere certo dell’identità del killer.

Ma essere inattaccabili non è solo un modo per difendersi dalle querele. I cronisti hanno in mano la vita delle persone, e spesso tendono a dimenticarlo. Scrivere a proposito di qualcuno, anche il peggiore degli stupratori, vuol dire esporre la vita di quella persona al giudizio della collettività. È un peso enorme, è una responsabilità da cui non si può prescindere. Prima di intervistare una vittima, prima di raccontare un “fatto di nera”, occorre allora porsi alcune domande fondamentali, che non sono (solo) quelle che insegnano nelle scuole. Non basta sapere chi, dove, come, quando e perché; bisogna chiedersi qual è il limite tra il diritto-dovere di cronaca e l’inviolabilità della persona. Bisogna interrogare la propria coscienza.

Questo differenzia un giornalista da un avvoltoio.

È stato il primo insegnamento che, tanti anni fa, ho ricevuto da un collega-maestro quando ho cominciato a fare questo mestiere. Ed è anche quello che, se vorrete partecipare al mio corso, “Come si scrive un articolo di cronaca” (sabato 29 ottobre), proverò a trasmettervi. Le buone fonti, l’esperienza, il fiuto, la disciplina non bastano: per scrivere un pezzo di cronaca, paradossalmente, serve il cuore.

Qui il programma completo dei corsi

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