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Buste arancioni dell’Inps: una trappola ben costruita

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Un regalo a banche, assicuratori e sindacati concertativi. Questa è la busta arancione dell’Inps. In effetti il suo presidente Tito Boeri ha dimostrato maggiore astuzia del proprio predecessore. Antonio Mastrapasqua non l’aveva infatti inviata, perché a suo dire avrebbe provocato un “sommovimento sociale”. In effetti la cricca della previdenza integrativa voleva buste arancioni terroristiche con previsioni generalizzate di pensioni miserrime.

Boeri invece le ha costruite su ipotesi tutto sommato ottimistiche, cioè un +1,5% annuo sia per il Prodotto Interno Lordo (Pil) che per le retribuzioni. Tanto anche così per una bella fetta di giovani, di lavoratori precari ecc. la pensione prevista risulta talmente bassa da spingerli nelle grinfie dei venditori di trappole previdenziali.

Lascia, quindi, di stucco l’apprezzamento di Roberto Saviano, nella sua onniscienza esperto anche di previdenza. Egli ci informa infatti sull’Espresso che per inviare tale famigerata busta “ci voleva coraggio” che però “il Presidente dell’Inps Tito Boeri ha avuto”, aggiungendo che “suo padre era partigiano e non risulta abbia mai intrallazzato con le banche” a riprova di una “storia familiare edificante”.

Genealogie a parte, il limite di fondo alla busta arancione è che previsioni ultradecennali sono roba da indovini, visti anche i continui aggiustamenti nel corso degli anni. È curioso che abbia fatto sua tale critica anche un personaggio tutto schierato a favore di fondi pensione e simili, quale Giuliano Cazzola.

Ma il problema più grave è un altro. È che l’industria del risparmio gestito (banche, gestori, assicurazioni ecc.) controlla quasi tutta l’informazione al largo pubblico: si veda il mio precedente post. È così riuscita a far passare l’idea che per provvedere alla sicurezza economica nella propria vecchiaia, occorra sottoscrivere qualche proposta previdenziale.

Cosa del tutto falsa. Conviene certo risparmiare, evitando però fondi pensione, piani individuali pensionistici (pip) e polizze vita. Tali soluzioni sarebbero valide in un mondo perfetto, in cui il male non alligna e il bene trionfa. L’Italia è un po’ diversa. Anziché adatti al loro fine dichiarato, i prodotti previdenziali sono il peggio, perché privi di ogni trasparenza, esposti alle malversazioni, senza garanzie in potere d’acquisto, spesso gravati da conflitti di interessi e anche costosi.

Gli italiani l’hanno intuito e non li sottoscrivono con l’accondiscendenza che gli viene chiesta. Così i sindacati li infilano di brutto nei propri fondi coi nuovi contratti; e il governo Renzi studia addirittura come dirottarvi d’imperio il Tfr.

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