Se le richieste di disoccupazione diminuiscono, non significa che il Jobs act funzioni. Anzi, c’è la concreta possibilità che il calo sia dovuto alla clamorosa espansione dei voucher, i buoni per pagare il lavoro occasionale (e precario): l’opposto rispetto all’obiettivo dichiarato dal governo, cioè rendere l’occupazione più stabile. E non è difficile immaginare che una parte di coloro che ne avevano diritto abbia rinunciato a chiedere l’ammortizzatore semplicemente perché ha lasciato l’Italia per cercare fortuna altrove. Per di più nei prossimi mesi, quando per ampie fasce di lavoratori si esaurirà la cig in deroga, si rischia che il dato sulle domande di sussidi registri un’inversione di tendenza. E’ con questi argomenti che sindacalisti e giuslavoristi rispondono al premier Matteo Renzi, che martedì, nel suo intervento in Senato in occasione delle due mozioni di sfiducia al governo, ha negato che i dati sulle assunzioni pubblicati dall’Inps martedì dimostrino un flop della politica dell’esecutivo. A febbraio 2016 infatti le attivazioni di contratti a tempo indeterminato sono calate del 33% rispetto all’anno scorso.

Il presidente del Consiglio ha rimescolato le carte rivendicando il “meno 22% delle richieste di disoccupazione tra febbraio 2015 e 2016” che emerge sempre dalle rilevazioni dell’istituto. Ma “le richieste di disoccupazione non sono un indicatore attendibile per valutare l’efficacia del Jobs act”, spiega Mario Rusciano, professore emerito di diritto del lavoro all’Università di Napoli. “Anzi, è chiaro che il Jobs act sia in affanno: appena gli sgravi contributivi si sono dimezzati, sono calati i contratti stabili. Chi non fa più richiesta di disoccupazione può avere trovato un contratto precario, essere pagato a voucher, essersi trasferito all’estero per cercare lavoro. Se faccio il cameriere a Londra, non chiedo il sussidio”.

Sul punto dei buoni lavoro insiste anche Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. “E’ difficile interpretare il dato sulle domande di disoccupazione – sostiene il sindacalista – Per esempio, la crescita esponenziale dei voucher può avere influito su questo calo. Parte del lavoro stagionale è transitato ai buoni lavoro senza avere alcun diritto alla disoccupazione“. Infatti i dipendenti stagionali, che si stima arrivino a quota 300mila in Italia, lavorano per sei mesi all’anno e poi percepiscono l’assegno di disoccupazione durante i mesi di chiusura della stagione. Ma se i lavoratori sono retribuiti a voucher, pur essendo nella stessa condizione dei colleghil, perdono il diritto al sussidio. Proprio martedì, l’Inps ha certificato un nuovo boom dei voucher, che a febbraio 2016 sono aumentati del 45% rispetto all’anno prima. “E la ripresa della cassa integrazione negli ultimi mesi – aggiunge Loy – può avere evitato un travaso verso le domande di disoccupazione”.

A peggiorare il quadro c’è il fatto che il maggiore ricorso all’ammortizzatore sociale può essere il preludio a un altro scenario. “Renzi ha poco da gioire – avverte Corrado Ezio Barachetti, responsabile del dipartimento mercato del lavoro della Cgil – Nei prossimi mesi le domande di disoccupazione torneranno a salire. Basta vedere il dato Inps sulla cassa integrazione in deroga, che a marzo 2016 è aumentata del 67,2% rispetto all’anno prima. Per chi esaurisce questo ammortizzatore, si apre in automatico la disoccupazione: è il preludio a una ripresa delle richieste”.

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