E alla fine se n’è andato anche lui, Licio Gelli. Anzi, “il mai abbastanza vituperato Licio Gelli“, come lo bollava il senatore comunista Giuseppe Corsini, che lo aveva visto all’opera nel pistoiese durante la Resistenza. Prima in camicia bruna al servizio dei nazifascisti, poi, al momento giusto, repentinamente convertito alla causa dei partigiani. Classe 1919, il Venerabile Maestro della Loggia P2 e di mille misteri italiani è stato in fondo il Burattinaio della Nazione: fascista nel ventennio, al servizio dei “rossi” nel primo Dopoguerra, dagli anni Cinquanta in poi democristiano e massone. Tutto e il contrario di tutto, ma sempre al momento giusto. O forse semplicemente un uomo privo di ideologie, in grado di usare i potenti come pedine per accumulare denaro, influenza, informazioni riservate.

Dieci anni di reclusione per i depistaggi sulla strage di Bologna. Dodici per il crac del Banco Ambrosiano. Otto mesi per possesso di documenti riservati del Sid e del Sismi – i servizi segreti italiani di allora – come unica conseguenza giudiziaria del caso P2. Carcere poco, tra estradizioni “difettose”, domiciliari per motivi di salute e persino una clamorosa evasione dal carcere di Champ Dollon, a Ginevra, il 10 agosto 1983. Ma sono molti di più – per non dire quasi tutti – i misteri italiani che hanno visto spuntare in qualche fase il nome di Gelli: il tentato golpe Borghese, l’omicidio Pecorelli, lo scandalo petroli, il crac di Michele Sindona, il caso Moro, la scalata occulta al Corriere della Sera, fino alla trattativa Stato-mafia, per il quale l’ex Venerabile è stato sentito dai pm nel 2013 come persona informata sui fatti, sul tema degli intrecci tra mafia, servizi, massoneria ed eversione nera.

Un raggio d’azione sconcertante, quello del Venerabile, ed è durante la guerra di Liberazione che il giovane Licio Gelli getta le fondamenta di un potere che probabilmente non ha eguali nella storia repubblicana, almeno per un semplice cittadino privo di qualunque carica pubblica. Gelli combatte come volontario al fianco dei franchisti in Spagna – dove perde il fratello – poi durante l’occupazione nazista in Italia si dà da fare con la divisa delle Ss. Ma quando il quadro del tracollo di Hitler e Mussollini si fa netto, passa dall’altra parte e fornisce informazioni utili per salvare i partigiani dalle imboscate della Wehrmacht. “Ss tedesche (Divisione Herman Goering). Partigiano combattente (XI zona)” riporta in modo spiazzante un’informativa redatta su di lui nel 1950 da una non precisata forza di polizia. L’anonimo estensore si dilunga sulla particolare cura del giovane Gelli nell’abbigliamento e sul fatto che non sia “dedito né al vino né ai liquori”. Più prosaico, un rapporto della Guardia di Finanza del 1974 che sottolinea “una solida stuazione patrimoniale di cui non si conoscono le origini”.

Diversi documenti dell’epoca, poi finiti in gran parte agli atti della Commissione parlamentare sulla P2, dimostrano che nel suo “periodo rosso” Gelli collabora con i servizi segreti di un paese del blocco comunista, almeno fino agli anni Cinquanta inoltrati. Ma al contempo c’è chi conosce il suo passato anticomunista, e così anche i servizi italiani guardano a lui con attenzione, stavolta come paladino dell’atlantismo. Dal 1974, inoltre, Gelli è addetto commerciale dell’ambasciata argentina presso il governo italiano, e in buoni rapporti con diverse giunte militari latinoamericane. E certo il celeberrimo Piano di rinascita democratica, trovato o fatto trovare nel 1982 nel doppiofondo di una valigia della figlia del Gran Maestro, Maria Grazia, delinea una sorta di repubblica autoritaria di stampo conservatore. Diventerà una sgradita pietra di paragone per l’attività di molti governi successivi, fino ai giorni nostri, da Berlusconi a Renzi.

Alla fine degli anni Cinquanta, comunque, i riferimenti politici di Gelli cambiano. Entra nell’orbita Dc, diventa portaborse del deputato Romolo Diecidue, conosce i fratelli Lebole con i quali entra nel business del tessile, ma soprattutto conosce Giulio Andreotti e si lancia in un’intensa attività  di pr nei plazzi che contano. Relazioni che torneranno utili. Il 6 novembre 1963 Licio Gelli si iscrive alla massoneria, nella loggia Gian Domenico Romagnosi di Roma; nel 1975 “scala” il vertice della loggia Propaganda 2, meglio nota come P2. Che cos’era la P2? Su questo ci sono migliaia e migliaia di pagine della Commissione Anselmi e del processo romano finito in nulla, ma una buona sintesi la dà il giornalista Gianfranco Piazzesi nel libro “Gelli. La carriera di un eroe di questa Italia” (Garzanti 1983): “Il fratello coperto avrebbe aiutato la carriera di chi era al di fuori del suo giro di conoscenze personali e politiche (…); subito dopo avrebbe ottenuto lo stesso favore da un’altra persona a lui fino ad allora sconosciuta”. Roba non da poco, visto che alla P2 risulteranno iscritti ministri,  parlamentari, alti ufficiali delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, editori, giornalisti… E Gelli è il nodo centrale della rete, insieme al braccio destro Umberto Ortolani detto “Baffino”. Sui loro conti esteri, tanto per dirne una, transitano decine di milioni di dollari sottratti all’Ambrosiano dal banchiere piduista Roberto Calvi.

Del signor P2 i giornali parlano poco fino al 17 marzo 1981, quando gli elenchi della loggia segreta vengono trovati durante una perquisizione alla ditta Giole di Castiglion Fibocchi (Arezzzo), di proprietà del Venerabile. I magistrati milanesi Guliano Turone e Gherardo Colombo ci arrivano indagando sul finto sequestro di Michele Sindona (anche lui piduista) organizzato da Cosa nostra siciliana in un estremo tentativo – fallito – di salvare dalla bancarotta il banchiere di Patti (Messina) trapiantato a Milano. Il contatto tra Sindona e Gelli è il medico massone Joseph Miceli Crimi, quello che a un certo punto mette un cuscino su una gamba di Sindona e gli spara un colpo di pistola, giusto per rendere più credibile la messinscena del rapimento da parte di un sedicente gruppo terrorista “proletario”.

Il presidente del consiglio Arnaldo Forlani decide di rendere pubblici gli elenchi su cui troppo su rumoreggia, e i nomi che ci sono dentro – compresi 44 parlamentari e 2 ministri – fanno impressione. Alcuni sono ancora oggi in piena attività pubblica: Slvio Berlusconi, Luigi Bisignani, Fabrizio Cicchitto, Antonio D’Alì

Dal 1998, Licio Gelli si trovava agli arresti domiciliari nella splendida Villa Wanda di Castiglion Fibocchi. Vinceva premi di poesia e ogni tanto concedeva interviste, in cui si compiaceva di osservare come certe parti del Piano di rinascita democratica – per esempio il pemierato forte e un maggior controllo sui magistrati, nonché la loro responsabilità civile – volassero nel dibattito politico senza neanche più il bisogno di organizzare trame con generali nostalgici né dettare la linea a editori affiliati. Del Venerabile resta uno sterminato archivio sparso per il mondo che suscita, a seconda di chi lo cerca, la curiosità o il timore.

Il Burattinaio della Nazione è vissuto da potente ed è morto da potente, nel suo letto e con tanti segreti intatti. Tornano in mente le parole di Piazzesi, che per le pressioni della P2 fu silurato a stretto giro prima dal Corriere della Sera e poi dalla Nazione di Firenze. Dove aveva deciso di pubblicare un’inchiesta a puntate sulle origini di Gelli, il suo passato fascista, i suoi voltafaccia fra partigiani e servizi. Sapendo che “nella migliore delle ipotesi non ci avrei guadagnato niente”.

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