Insomma, basta con il Novecento, e “le otto ore vi sembran poche”, chi vi credete di essere, le mondine? Ora, guidata come una trebbiatrice dal ministro Poletti arriva l’idea moderna: pagare a risultato. Una cosa modernissima che si chiama “cottimo”. Nel caso, cottimo e abbondante. Una prassi che cambierà le nostre vite, il linguaggio, i rapporti interpersonali. “A che ora torni, caro?”. “Uh, come sei antica! Ancora legata alle ore! Arrivo quando ho raggiunto il risultato, come impone la nuova etica del lavoro”. “Quindi?”. “Boh, facciamo un giovedì di dicembre, ma non so quale”.

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Ecco, niente orari. Preparatevi a un futuro di paste scotte e microonde. Perché ve lo diciamo con una mano sul cuore: in questo modo polettiano di intendere il lavoro, le ore non saranno mai meno, ma sempre di più. Rottamando la paga oraria assisteremo finalmente a una guerra continua con ufficiali e graduati travestiti da capufficio. “Signorina, faccia questi otto miliardi di fotocopie”. “Guardi che io stacco alle sei!”. “No, lei stacca quando ha finito”. Di colpo, in ufficio, si finirà di lavorare quando finirà il toner, mai prima. Bello! Sembrerà di essere nei Marines.

Del resto il ministro Poletti l’ha detto l’altro giorno: si lavora in un modo nuovo e a lui capita di leggere le mail anche all’una di sabato notte, a letto. Abolendo le ore e puntando ai risultati, un risultato lo si otterrà di sicuro: si lavorerà sempre, giorno e notte, a letto, in macchina, al cinema. La doccia sembrerà l’ultimo rifugio dove si può stare senza tablet o cellulare e forse questo migliorerà la vita: “Caro, ti devo parlare”. “Presto, andiamo sotto la doccia, se no devo finire la relazione e mandarla al capo”. Peccato che accadrà solo per pochi minuti. Ma del resto, pensateci: cosa sono i minuti se aboliscono le ore?

Il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2015

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