Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti non ha dubbi: studiare tanto e laurearsi fuori corso ma con un voto alto non premia. Meglio finire l’università in fretta. “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21“, ha detto agli studenti durante la convention di apertura di “Job&Orienta”, una mostra convegno sulla formazione e l’orientamento. Il mercato del lavoro non aspetta e “in Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo”, ha sentenziato il responsabile del dicastero. “I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo“.
Per Poletti i giovani dovrebbero smetterla di essere ossessionati dal “prendere mezzo voto in più“, perché così facendo buttano via del tempo prezioso che non potranno più recuperare una volta usciti dall’università: “Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo”, ha detto, ma è necessario adesso rovesciare “radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura”.
Parlando dei cambiamenti del mercato del lavoro, il ministro che ha legato il suo nome al Jobs Act e all’abolizione dell’articolo 18 ha poi criticato la visione tradizionale in base alla quale “per 20 anni si studia, per 30 si lavora e poi si va in pensione“. Così come l’identificazione di un posto fisso materiale in cui svolgere il proprio lavoro. “La storia secondo cui c’è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita. Il lavoro non si fa in un posto: il lavoro è un’attività umana, si fa in mille posti“, ha bisogno di “creatività, consapevolezza, responsabilita, fantasia“. “Faccio spesso un esempio. Arrivano delle mail all’una di notte, se le considero interessanti rispondo. Domanda: è un sabato notte, all’una, e io sono nel mio letto; quello è definibile luogo di lavoro? Per me no, però io sto lavorando, e sto rispondendo a una mail”.