È proprio il caso di dirlo: un mare separa i roboanti annunci di un anno fa di Matteo Renzi sui porti da ciò che il governo è stato in grado di fare davvero. Dopo 12 mesi il bilancio dei provvedimenti messi in campo è deludente. Il Piano nazionale per la portualità e la logistica è stato in effetti approvato a fine luglio dal Consiglio dei ministri con un decreto e nonostante fosse stato varato con cinque mesi di ritardo sui tempi programmati, era sembrato comunque un passo in avanti. Ma poi i decreti attuativi per dare concretezza a quel progetto sono rimasti nel cassetto e quindi il Piano rischia di restare un elenco di buone intenzioni. Al punto che c’è chi sospetta che l’approvazione sia stata solo uno strumento per ottenere altro. E cioè l’approvazione da parte di Bruxelles del Programma Operativo Nazionale (Pon) Reti e Infrastrutture 2014-2020, un pacchetto di 1,4 miliardi di euro di finanziamenti europei per le infrastrutture di Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia che sbloccano in parallelo 460 milioni di euro di finanziamenti nazionali.

Gli operatori portuali, i terminalisti e le compagnie di navigazione si aspettavano che fossero approvati i decreti per semplificare le operazioni di dragaggio dei fondali e quelle di import ed export sulle banchine, molto più lunghe e farraginose rispetto ai tempi e alle modalità degli altri porti europei. Ma non se ne è fatto di niente. Così come è rimasto al palo il provvedimento che avrebbe dovuto portare un po’ d’ordine tra le Autorità portuali. L’idea di fondo del governo e del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, era quella di ridurre da 24 a 14 il numero di questi organismi. E prevedendo che il taglio avrebbe provocato le piccate reazioni campanilistiche dei soggetti destinati alla soppressione i quali inevitabilmente avrebbero cercato sponde amiche in Parlamento, il governo si era assegnato una delega con la legge Madia per evitare imboscate.

Ma lo stratagemma non è stato sufficiente: da Savona a Messina, da Salerno alla Puglia la lobby degli esclusi è di fatto riuscita a impedire che il provvedimento sulle autorità dei porti arrivasse in Consiglio dei ministri. Sullo stop probabilmente hanno influito anche altri fattori. Nelle intenzioni del governo la nomina dei presidenti delle nuove autorità sarebbe dovuta passare dall’ambito locale a quello nazionale, dalle mani dei sindaci e dei rappresentanti delle Camere di commercio a quelle del ministro dei Trasporti. Inoltre sarebbe dovuto sparire il Comitato portuale, una sorta di parlamentino con rappresentanti degli enti locali e delle categorie portuali. Anche in questo caso gli interessati hanno reagito con successo, dal loro punto di vista, riuscendo a salvare le poltrone.

Il governo non è stato in grado neanche di riportare un po’ di logica e di ordine nella congerie dei progetti infrastrutturali sui porti. Renzi e Delrio si erano impegnati a selezionare entro l’11 febbraio di quest’anno “gli interventi ritenuti più urgenti sulla base delle proposte contenute nei documenti presentati dalle Autorità portuali”. La scrematura annunciata doveva servire a “coordinare l’attività programmatoria di settore” tenuto conto che le 24 autorità portuali hanno programmato la bellezza di 6,3 miliardi di euro di investimento nel solo triennio 2015-2017, avanzando richieste di di finanziamento “sistematicamente superiori alle disponibilità reali, quasi sempre in assenza di compartecipazione di capitali privati”. Anche in questo caso, però, il termine che si era dato il governo è scaduto da 10 mesi e le intenzioni non si sono tradotte in atti concreti.

(ha collaborato Andrea Moizo)

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