Un gioco delle parti. Secondo il numero uno della Uil, Carmelo Barbagallo, e il responsabile lavoro di Sel, Giorgio Airaudo, si spiega così la rottura sul rinnovo dei contratti nazionali di lavoro ufficializzata martedì sera dal leader di Confindustria Giorgio Squinzi. “Il presidente di Confindustria non la racconta giusta: si sono improvvisamente svegliati e fanno da sponda a un possibile intervento del governo”, sostiene Barbagallo, sottolineando che si rischia di “non aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e non cogliere, così, l’opportunità della ripresa”. D’accordo Airaudo, che prevede “una riduzione generalizzata dei salari“. “Prima cancellano l’articolo 18, poi attaccano il diritto di sciopero, ora sono per la riduzione del salario reale”, attacca l’ex sindacalista Fiom. “Il governo e la Confindustria sono d’accordo nel dire che è sempre tutta colpa dei sindacati e dei lavoratori”. Che “hanno già pagato la crisi e ora non possono pagare, con la riduzione salariale e la cancellazione della contrattazione collettiva nazionale, anche l’eventuale ripresa economica. Il governo e la Confindustria sembrano fare il gioco delle parti in cui le vittime rischiano di essere il lavoro e i lavoratori”.

Lo strappo, infatti, apre la strada all’intervento dell’esecutivo, pronto a convocare sindacati e Confindustria e proporre un modello basato sul salario minimo. Cosa che di fatto farebbe venire meno la necessità del contratto nazionale: a quel punto le trattative tra parti sociali potrebbero dunque essere confinate al livello territoriale o aziendale. E da Palazzo Chigi arriva una conferma, per bocca del responsabile Economia del Pd Filippo Taddei che fa sapere: “Ci auguriamo che il dialogo tra le parti sociali sulla contrattazione riprenda”, ma “dal momento che è un tema strategico non rinunceremo ad assumerci, come sempre, la responsabilità di riformare il sistema”.

Ma la strada sembra segnata, visto che Squinzi – pur paventando il rischio di “danni” se interverrà il governo – ha dichiarato “chiuso” il capitolo delle trattative, accusando le sigle sindacali di aver tenuto “posizioni irrealistiche” e “preso a schiaffoni” le rappresentanze industriali. Posizione appoggiata senza se e senza ma da Il Sole 24 Ore, di cui la confederazione è editore, che nell’editoriale di prima pagina firmato dal direttore accusa il sindacato di “tutelare solo i tutelati”, voler “negare la speranza ai nostri giovani più preparati” e “rifiutarsi di discutere di contratti legati alla produttività, all’innovazione, a parametri certi”. Con il risultato di aver “costretto alla rottura un imprenditore come Giorgio Squinzi che ha sempre creduto nelle relazioni industriali”. Il che, si legge, equivale ad aver “perso il senso della storia“.

Dalle fila del Pd anche il presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio Francesco Boccia auspica “un saggio intervento del governo che possa ripristinare le basi minime per credere ancora che la questione sociale sia un valore per tutti”. Boccia però attribuisce la responsabilità della rottura proprio a Squinzi: “Sono basito per la disinvoltura con cui il presidente di Confindustria liquida la partita dei contratti in scadenza e, in generale, dei meccanismi che regolano le più elementari relazioni sindacali. Dire che per almeno 40 comparti industriali la trattativa è chiusa prima ancora di entrare nel merito, come fa Squinzi, è la fine delle relazioni sindacali così come le abbiamo conosciute fino ad oggi”.

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