Le malattie neurodegenerative sono spesso difficili da diagnosticare, non prima che si arrivi a uno stadio avanzato in cui i sintomi sono ben manifesti. Per questo, nella diagnosi precoce di patologie come l’Alzheimer o il Parkinson, gli studiosi stanno cercando di cambiare approccio. E iniziano a guardare anche alla pelle, per catturare i segni della progressione della malattia. Come avvenuto con uno studio italiano sulla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), adesso un team di neurofisiologi del Central Hospital presso l’Autonomous University of San Luis Potosi, in Messico, ha messo a punto un test diagnostico basato sulle cellule della pelle. I dettagli della ricerca saranno illustrati al prossimo meeting annuale dell’American Academy of Neurology, che si svolgerà a Washington a metà aprile. Ma alcuni aspetti sono già stati anticipati in questi giorni.

Attualmente l’unico modo per confermare con assoluta certezza se un paziente ha l’Alzheimer, purtroppo, è l’esame del cervello dopo la morte

“Le diagnosi cliniche effettuate dagli specialisti possono essere accurate fino al 90% dei casi, ma attualmente – sottolinea Ildefonso Rodriguez-Leyva, a capo del team messicano – l’unico modo per confermare con assoluta certezza se un paziente ha l’Alzheimer, purtroppo, è l’esame del cervello dopo la morte”. Lo studio messicano dimostra che biopsie della pelle possono essere utilizzate per diagnosticare la presenza di elevati livelli di proteine tossiche. Come ad esempio le fibrille amiloidi dell’Alzheimer, bersaglio su cui negli ultimi tempi si stanno concentrando gli sforzi degli scienziati per arrestare la progressione della malattia.

“La nostra ipotesi – spiega Rodriguez-Leyva – è che, avendo la pelle la stessa origine embrionale del tessuto nervoso, entrambi i tessuti possano esprimere le stesse proteine tossiche. I nuovi test – aggiunge lo studioso – rappresentano potenziali marcatori biologici, in grado di mettere i medici nelle condizioni d’identificare e diagnosticare alcune malattie neurodegenerative prima possibile”. Nel loro studio i ricercatori messicani hanno utilizzato biopsie cellulari di 20 individui colpiti da Alzheimer, 16 da Parkinson e 17 da altre forme di demenza. Le hanno poi comparate a quelle di 12 individui sani per verificare, attraverso l’uso di anticorpi, la presenza, nei campioni di pelle, di specifiche alterazioni proteiche legate alle diverse patologie.

“I nuovi test rappresentano potenziali marcatori in grado di mettere i medici nelle condizioni d’identificare alcune malattie neurodegenerative prima possibile”

La prossima tappa dello studio, sottolineano gli autori, sarà aumentare il numero di pazienti coinvolti. “Occorreranno ulteriori studi per confermare questa ricerca. I primi risultati, però – conclude Rodriguez-Leyva -, sono eccitanti, perché consentono potenzialmente d’iniziare a usare biopsie della pelle di pazienti in vita, colpiti da Alzheimer e Parkinson, per imparare di più sulle due malattie”.

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