“Matteo Renzi è un vero imbecille”. Maurizio Gasparri non ha preso bene le parole del presidente del Consiglio sulla Rai. Per spingere l’acceleratore sulla riforma del servizio pubblico – che vorrebbe in calendario a marzo – il premier ha usato queste parole: “Non può essere disciplinata da una legge che si chiama Gasparri. La cambieremo, riformeremo questo pezzo dell’identità culturale Paese”. Questo aveva detto Matteo Renzi, nel corso dell’iniziativa “La scuola che cambia, cambia l’Italià”, promossa dal Pd. Ore 12:45 di una domenica politicamente e calcisticamente spenta. E invece ecco, la dichiarazione rimanda la politica nel pallone, scatena interventi a gamba tesa, insulti e falli di reazione. Botte da orbi, insomma.

“Da Renzi una caduta di stile”, fa in tempo a dire il vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai Giorgio Lainati (Fi). Cartellino giallo. Ma ecco che il diretto interessato, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, interviene direttamente a risollevare la discussione con un rabbioso calcio agli stinchi: “Caro Renzi, sei di una abissale ignoranza, privo di basi culturali, solo chiacchiere distintivo e insider trading”. E poi aggiunge: “In quale loggia massonica di tuo padre ti hanno dettato le presunte norme per scuola e banche?”. Non si placa, Gasparri: “Sei davvero una persona spregevole, torna nella loggia del babbo”.

Ma la partita è solo sospesa. Renzi, un’ora dopo, è ospite a In mezz’ora, su Rai Tre. E la partita ricomincia. Quale occasione più propizia per ripetere quanto detto sul palco del convegno? Ribadisce il concetto: “Non può essere disciplinata da una riforma che prende il nome da Gasparri”. Il diretto interessato allora sbotta: “Renzi è un vero imbecille”. “Alla Folletto – risponde a un utente – faceva lo sporco nel sacchetto”. E poi: “Con decreto (sulle popolari, ndr) ha favorito speculazioni, ha un padre di cui vergognarsi,è un arrogante, finirá male politicamente”. Non insulta ma chiama la barella a bordo campo Mariastella Gelmini: “Grazie a una legge chiamata Gasparri la Rai è arrivata sul digitale e si è modernizzata prima di altri. Renzi si rassegni”, rivendica, quasi a voler sedare gli animi. Prova a mettersi in mezzo anche il Gruppo Misto. Interviene Pino Pisicchio, a sua volta membro della Vigilanza, che invita a fare attenzione ma saluta senza pregiudizi l’afflato riformatore del governo. “Apprezziamo il fatto che abbia preso in carico la questione. Si tratta di un argomento serio, che deve vedere impegnato, in uno sforzo collaborativo congiunto, parlamento e governo per definire entro tempi plausibili il percorso di riforma all’altezza delle necessità”. Ma il secondo tempo è cominciato. Dalle fila del Pd partono all’attacco quelli che giocano in difesa (del premier): “E’ scontato che Forza Italia difenda a spada tratta la Legge Gasparri: vogliono continuare a spartirsi i posti in Rai e a nominare i loro ex parlamentari nel consiglio di amministrazione. Ma ora finalmente si cambia, via la politica dalla Rai”, dichiara la responsabile Cultura del Partito democratico e componente della commissione di Vigilanza Rai, Lorenza Bonaccorsi. “La Gasparri ha reso ingestibile la Rai – spiega Bonaccorsi – trasformando il Cda in una proiezione degli equilibrismi della commissione di Vigilanza. Tra l’altro dire che il digitale in Italia è arrivato grazie a quella legge è comico: lo sviluppo della tecnologia non dipende certamente dai provvedimenti governativi, il digitale terrestre sarebbe arrivato comunque. Verrebbe da citare l’ex compagno di partito di Gasparri all’epoca, Francesco Storace, che disse quella legge Gasparri non solo non l’aveva scritta, ma forse neppure letta. Al senatore di Fi restano solo gli insulti”. E non solo i suoi. Entra in campo Renato Brunetta con una maglia, se possibile, più verde-bile di quella del collega: “La legge Gasparri ha innovato e migliorato Tv in Italia. Matteo Renzi spudorato, solito battutista, dimostra sua ignoranza e pochezza contenuti”. Così su Twitter il capogruppo di FI. Palazzo Chigi non raccoglie insulti lasciando Gasparri al suo soliloquio via Twitter che procede senza sosta.

Agli insulti si aggiungono le provocazioni. “Renzi pensa di trattare la Rai come le aziende di famiglia del padre o come la sinistra ha fatto da sempre con il Monte dei Paschi. Ma finché la Rai resta pubblica il dittatorello fiorentino dovrà rinunciare ai sogni di vana gloria. Un monocolore renziano non ci sarà mai fino a quando ci sarà la Corte costituzionale a bloccare la scalata del più grande bluff degli ultimi tempi”. E giù, ancora. “Solo quattro ingenui ancora riescono a farsi abbindolare dalle sue pessime idee – insiste- Vuole riformare la Rai? Si accomodi, ma deve rispettare la legge, che sulla formazione del Cda è chiara lasciando al Parlamento la scelta. O forse la democrazia gli sta stretta e preferisce un vertice scelto da una fondazione a lui vicina? Potrebbe fare l’ennesimo piacere ai suoi amici, affidare la tv pubblica alla gestione di qualche coop rossa e magari agire per decreto dando una mano a qualcuno come ha fatto con la Banca dell’Etruria. A quando il ministero della cultura popolare? Bisogna che tutti, soprattutto chi ha le massime cariche dello Stato, vigilino sulle manovre di Renzi. Non finisce qui“.

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