buonascuola“Abbiamo bisogno di almeno mille persone in Italia innamorate della scuola che ci affianchino con il loro entusiasmo e il loro amore per la scuola per portare fino in fondo questa riforma”. Così Renzi, in dicembre, dopo la giornata dedicata al commento degli esiti del sondaggio sul Pdf La Buona Scuola, che decretò – attraverso patinate azioni di maquillage eufemistico – il fallimento dell’ “ascolto”, rimandando la realizzazione della riforma in febbraio. Da allora le notizie che si sono susseguite sono ispirate al consueto: “ascolto tutti, ma decido io”. Il dissenso continua ad essere ignorato.

Intanto, però, una domanda: come si dimostra di “essere innamorati della scuola”? Ci vuole un titolo speciale, magari da inserire nel portfolio, tra i propri crediti? Chi selezionerà questa nuova categoria di docenti: gli innamorati della scuola? O dobbiamo pensare che non siano solo docenti, come il famoso Alessandro Fusacchia, ghost writer del documento e capo gabinetto del Miur, il cui curriculum esprime una lontananza abissale con il mondo della scuola e una contiguità strettissima con quello della finanza e dell’economia?

Il 22 febbraio del 2015, in occasione del primo anniversario del suo governo, il premier incontrerà «mille» rappresentanti del mondo scolastico che «avvertono questa battaglia come una battaglia propria, che entrino nel merito dei provvedimenti e che dicano: questa cosa mi riguarda troppo, non posso lasciarla al presidente del Consiglio o al sottosegretario». Perché «la riforma non la fa solo il governo, ma si fa con l’opinione pubblica, perché questa è la riforma delle persone».

La solita propaganda in salsa demagogica. Intanto, per contrastare quelle che probabilmente saranno i provvedimenti che da quel testo il Governo emanerà, docenti, studenti, genitori, associazioni – che da sempre hanno il comune obiettivo di concretizzare un’idea di scuola coerente con il dettato costituzionale – si incontreranno il 31 pomeriggio a Roma, in un’assemblea nazionale, sotto il comune segno di un disegno di legge presente dall’estate scorsa alla Camera e al Senato, che il governo si ostina ad ignorare: la Lipscuola.

A questo proposito, tra le varie indiscrezioni emerse nel frattempo rispetto a ciò che Renzi cercherà di realizzare, allarmano particolarmente le affermazione del sottosegretario Davide Faraone, esplicito su quello che sarà il ruolo dei privati in quella che – potremmo dire – fu la Scuola della Repubblica. Solo il linguaggio è agghiacciante: la modernità impera, l’incultura avanza. «La Buona scuola è ormai un brand , un marchio», afferma. E spiega che sempre più aziende stanno stipulando protocolli d’intesa con il Miur per «adottare» le scuole, offrendo loro servizi e prodotti. Nel documento La Buona Scuola è previsto lo «school bonus», una sorta di defiscalizzazione, per chi finanzia progetti o prende ragazzi in stage. «La scuola è di tutti – dice Faraone – è parte integrante della società, perciò è fondamentale che tutti collaborino perché sia la migliore scuola possibile».

Un politicante non può che ignorare alcune cose.

1. La libertà di insegnamento (art. 33 della Costituzione) è in qualche modo espressione del più generale principio costituzionale della libertà di pensiero, sancito dall’art. 21. Ma ha una propria specificità, nel senso che è per un verso preclusiva di ogni forma di condizionamento esterno e quindi è una libertà in negativo (libertà da); ma è anche – e soprattutto – libertà in positivo, cioè di partecipare senza alcun condizionamento alla elaborazione culturale. Non può però esserci libertà di insegnamento del docente se anzitutto il sistema scolastico non è organizzato nel suo complesso sul principio di libertà di insegnamento e quindi dall’autonomia da forme di condizionamento esterno ed interno (compresa – peraltro – la gerarchizzazione e poteri di indirizzo e di valutazione da parte del ministero, come nel caso dell’Invalsi)

2. Esiste un altro principio, quello dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, garanzia dell’interesse generale e dell’esercizio del diritto di uguaglianza per tutti i cittadini. Ovvero il principio costituzionale secondo cui, poiché da una parte la scuola deve mettere in analoghe condizioni tutti i cittadini del Paese, ovunque risiedano; e poiché i titoli di studio rilasciati sul territorio nazionale devono essere identici in termini di effetti giuridici, il sistema scolastico italiano – da Lampedusa a Sondrio – deve ispirarsi ad un rigoroso principio di omogeneità.

Un’entrata dei privati minerebbe alle fondamenta questi due principi, capisaldi di una scuola che sia veramente strumento di emancipazione per tutti i cittadini italiani. Inserendo definitivamente il sistema scolastico statale in una logica di mercato, elementi fondamentali di incentivo per l’intervento dei privati diverrebbero utenza, collocazione, peculiarità socio economiche del territorio di riferimento. Amplificando ulteriormente il divario già esistente tra scuole di serie A e scuole di serie B. A voi piacerebbe che i vostri figli fossero inserite in queste ultime?

L’ignoranza dei fondamentali principi di equità e democrazia da parte di questo rampante PD non deve sorprendere: per la prima volta nel documento renziano “il sistema di valutazione sarà operativo dal prossimo anno per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie”: la scuola paritaria viene promossa al rango di scuola pubblica. Il cerchio si chiude.

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