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Iran, uccise il suo stupratore. Figlio della vittima: “Nega tutto e non ti impicchiamo”

Reyhaneh Jabbari è stata condannata alla forca per aver ucciso a coltellate l'uomo che tentò di violentarla. La famiglia della vittima: "Smentisci lo stupro e non morirai". Se la 26enne lo facesse otterrebbe il loro perdono e, in base alle leggi iraniane, sarebbe salva. L'esecuzione è fissata per mercoledì all'alba
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Uccise a coltellate il suo stupratore quando aveva 18 anni. Per questo Reyhaneh Jabbari è stata condannata ad essere impiccata. Per salvarsi secondo la famiglia della vittima, Morteza Abdolali Sarbandi, la ragazza dovrebbe negare di aver subito un tentativo di violenza sessuale. Se lo facesse otterrebbe il loro perdono e, in base alle leggi in vigore in Iran, sarebbe salva . In caso contrario Taher Djafarizad, presidente dell’organizzazione Neda Day che segue da vicino il caso, sostiene che “l’esecuzione avverrà mercoledì 8 ottobre alle 5 del mattino”.

“Nei giorni scorsi il figlio della vittima è andato nel carcere dove è detenuta Reyhaneh, chiedendole di negare di aver subito un tentativo di stupro da parte del padre – spiega Djafarizad –  In quel caso, potrebbe perdonarla e, in base all’ordinamento iraniano, non verrebbe impiccata. Ma questo vuol dire che la ragazza dovrebbe dichiarare il falso e lei ha detto più volte che questo è impensabile e inaccettabile”. Il presidente della onlus iraniana ha detto inoltre che “familiari e amici di Reyhaneh hanno manifestato di fronte al carcere ma sono stati allontanati con violenza dalle forze di sicurezza, che hanno anche distrutto i loro cartelli e fotografato le targhe delle loro auto”, conclude la madre della ragazza.

Reyhaneh Jabbar è stata condannata a morte per l’omicidio, avvenuto sette anni fa, di un ex impiegato del ministero dell’Intelligence, Morteza Abdolali Sarbandi. La 26enne ha confessato l’omicidio subito dopo l’arresto, dichiarando di aver agito per autodifesa. Ma non le è stato consentito di avvalersi di un avvocato durante la deposizione. Quindi, la condanna a morte da una corte penale della capitale iraniana nel 2009. Una sentenza che è stata confermata dalla Corte Suprema pochi mesi dopo.

L’esecuzione della 26enne, detenuta da sette anni nel carcere di Rajaishahr, nei pressi di Teheran, era prevista per la scorsa settimana, ma in seguito a una mobilitazione internazionale (coinvolte le associazioni Iran Human rights e Amnesty International) è stata rinviata di dieci giorni. Il 30 settembre, la madre di Reyhaneh, Sholeh Pakravan, ha rivolto un appello anche alla autorità italiane e vaticane affinché intercedano per salvare la vita di sua figlia. Casi di perdono dei famigliari al posto della condanna a morte non sono inusuali in Iran. Lo scorso aprile Balal Abdullah, 20 anni, doveva essere impiccato per aver ucciso a coltellate un suo coetaneo durante una rissa. Ma quando tutto sembrava già scritto, la madre della vittima invece di spingere via la sedia su cui si sorreggeva il condannato, come suo diritto per ‘”l’occhio per occhio” previsto dalla sharia, lo ha schiaffeggiato e perdonato.

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