Alla fine si è dimessa. Dopo giorni di attacchi, polemiche e titoli sui giornali, il ministro britannico della cultura, Maria Miller, ha gettato la spugna. E, nonostante il sostegno manifestato a più riprese dal primo ministro David Cameron – di cui Miller è considerata fedelissima – ha fatto un passo indietro, perché il suo caso era ormai diventato una “distrazione” per il governo e per il partito conservatore, ha scritto nella lettera di dimissioni consegnata a Cameron.

Altro non poteva fare Maria Miller, già ‘condannata’ dall’opinione pubblica, da alcuni giornali soprattutto (il Daily Telegraph è stato tra i primi a sollevare il caso, così come dalle sue colonne partì il più vasto e complesso ‘scandalo rimborsi’ del 2009). La scorsa settimana la donna si era scusata con gli elettori e con il Parlamento, e ha restituito 5.800 sterline al Tesoro. Inizialmente, a seguito di un’indagine parlamentare, la cifra da restituire era stata stabilita a 45mila sterline, ma poi è stata abbassata dalla commissione per gli standard della Camera.

Ma soprattutto, alla Miller è venuto meno il sostegno del suo partito. Le dimissioni sono arrivate dopo giorni di forti tensioni all’interno del partito conservatore, che le hanno rese necessarie.

Le richieste per un suo passo indietro erano giunte da più parti e la base del partito aveva anche organizzato una petizione online, che ha raccolto migliaia di firme, in favore di una sua uscita di scena. Cameron era rimasto solo a difenderla fino all’ultimo. E isolato.

Il primo ministro ha ribadito anche oggi di assumersi la “piena responsabilità” per la posizione assunta nella vicenda e, manifestando alla ministra gratitudine per il lavoro da lei svolto, ha aggiunto che si augura Miller possa ritornare nel governo “a tempo debito”.

Ma quest’ultimo caso espone ancora una volte Cameron alle critiche di chi vede la sua leadership ormai sfilacciata. E non sono pochi, anche nel partito, a cogliere ogni occasione utile per sottolinearlo. Una deriva che il premier è obbligato ad arginare, consapevole che se sfuggisse di mano, potrebbe mettere a repentaglio la campagna per le prossime elezioni, tra un anno.

Occasione per difendersi è il confronto settimanale con l’opposizione durante il ‘question time’ alla Camera dei Comuni. Agli attacchi del leader laburista Ed Miliband, secondo cui il premier ha commesso un “terribile errore di giudizio”, Cameron ha risposto che “rinunciare al primo segnale di difficoltà senza concedere un’altra chance non sarebbe leadership, sarebbe debolezza”. Ma c’è già chi si chiede quale sarà il prezzo che il leader Tory dovrà pagare per lealtà alla sua ministra.

Per ora ha perso una fedele alleata all’interno del governo: per sostituirla al vertice del ministero della Cultura arriva Sajid Javid, conservatore tory di discendenza pachistana, che lascia il suo ruolo da sottosegretario al ministero del Tesoro.

Il Guardian nel gennaio 2013 aveva già individuato Javid, scrivendo che in futuro potrebbe diventare il “primo leader tory musulmano”. Quarantaquattro anni, nato a Rochdale, nord Inghilterra, è figlio di un autista di autobus e ha vissuto la sua infanzia a Bristol, in una delle vie più pericolose del Paese per l’elevata criminalità. In passato ha affermato di non essere religioso, mentre la moglie è cristiana.

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