Una notte insonne e nervosa, poi, di mattina presto, una veloce visita al monumento a Ciccio Franco, eroe della rivolta dei Boia chi molla, per trovare forza e ispirazione. Solo alla fine la decisione: mi dimetto. E’ il day after di Peppe Scopelliti, il governatore della Calabria travolto dalla condanna a sei anni e dall’interdizione perpetua dai pubblici uffici per lo scandalo dei bilanci truccati al Comune di Reggio. “Mi dimetto, ci dimettiamo tutti. Si torna al voto”. Scopelliti si gioca l’ultima partita. Non aspetterà nel suo ufficio un prefetto della Repubblica che gli consegni l’atto della sospensione dalle sue funzioni, ordina ai suoi il tutti a casa e invita le truppe alla battaglia. “Torneremo”, dice ai calabresi, pronto a verificare se il suo tesoro elettorale è ancora intatto.

Si candiderà alle Europee nelle liste del Nuovo centrodestra, partitino del quale possiede il pacchetto azionario di maggioranza, ma prima dovrà sistemare Gianpaolo Chiappetta, il capogruppo in Consiglio regionale, al quale quel posto era stato promesso dal potentissimo ras Tonino Gentile, il “cinghiale ferito”. Anche Scopelliti è ferito, ma non intende mollare. Certo, i tempi non sono più quelli delle notti passate sul Lungomare con Ray-ban a goccia a fare il dj a Radio Rtl. Allora Peppe si sentiva un intoccabile. Uno che poteva tutto, finanche partecipare con scorta della polizia al seguito al pranzo per le nozze d’oro dei genitori dei fratelli Barbieri, imprenditore in fortissimo odore di mafia. I carabinieri appostati filmarono tutto, la vicenda finì in un rapporto e sui giornali. Ma Peppe non si scompose e recitò la solita litania sulla stampa nemica della città.

Del resto lui con la ‘ndrangheta c’entra poco, sul suo petto può vantare le medaglie di antimafioso rilasciategli da generose associazioni amiche e orbe. Ma di più, Scopelliti può contare sull’affetto dei calabresi. Sessantunomila voti nel 2002, la sua prima volta da sindaco di Reggio, 83mila cinque anni dopo, il 70 per cento, 614mila alla Regione, il 52 per cento, nel 2010 contro Agazio Loiero. Un consenso fortissimo. Speso male. Reggio Calabria è alla bancarotta ed è commissariata per mafia, la Regione ha un altissimo numero di consiglieri inquisiti, tre li hanno arrestati. E la Calabria affonda nella miseria. Da queste terre si scappa. Fugge il 27,1 per cento dei giovani laureati, i padri di famiglia caricano le loro moderne valigie di cartone su pullman che li portano al Nord o in Germania. Dal Tirreno allo Ionio, la regione è devastata “dalla peggiore classe politica dell’Occidente”, ci dice l’antropologo e scrittore Francesco Mauro Minervino.

Il clientelismo miserabile di Catanzaro, con il contorno dell’assessore puttaniere a sbafo, ha fatto ridere l’Italia. A Cosenza ha invece tenuto banco l’attacco dei pasdaran del senatore Gentile a un quotidiano perché non pubblicasse una notizia. “La Calabria è il laboratorio politico di tutti i mali italiani”, è il giudizio di Minervino. “Parlo con la gente, con gli studenti, con quelli che partono schifati e vedo la speranza morire. Ora siamo all’ultima spiaggia o si abbatte questo sistema dei partiti, oppure è finita. Qui c’è un consociativismo asfissiante che è orizzontale e verticale. Cazzi miei, cazzi tuoi, questa è la regola”. Chi sarà il prossimo re della Calabria, l’uomo che prenderà il posto di Peppe Scopelliti dj? Nel centrodestra scalpitano i cosentini di Gentile, Pino, che ora è assessore regionale si vede e come su quella poltrona. Tonino, il fratello senatore, Katia, la nipote ex vicesindaco della città, e tutta la sterminata family, lo appoggeranno. Gongola il centrosinistra per il ras azzoppato. E fa male.

Archiviata con disonore la voce di un Nicola Gratteri candidato (il magistrato ha respinto con sdegno i rumors diffusi dai renziani), prevalgono gli appetiti. Demetrio Naccari Carlizzi, l’uomo che con le sue denunce ha dato il via al processo Fallara, ha annunciato la sua candidatura, ma è azzoppato. Una inchiesta sulla sanità reggina lo vede al centro dello scandalo per la promozione della moglie in un ruolo dirigenziale. “Il posto è mio e lo devo vincere”, dice la signora in una intercettazione. Sandro Principe, re di Rende, è ormai impresentabile. Infastidito dal tono di alcuni articoli, sputò (sì, sputò proprio) in faccia Antonio Ricchio, cronista politico del Corriere della Calabria. E allora scendo in campo io, annuncia ai calabresi Mario Oliverio, già deputato, già consigliere regionale, oggi presidente della Provincia di Cosenza. Il dopo Scopelliti è iniziato. Il lupo trasformista e trasversale che ha divorato la Calabria è già all’opera.

da Il Fatto Quotidiano del 29 marzo 2014

Articolo Precedente

Costituzione, Renzi fucina di tutti i mali

next
Articolo Successivo

Il riflesso condizionato di Pavlov nella lotta politica italiana

next