È uno stratagemma usato in diversi film e telefilm polizieschi, al limite della fantascienza, ma nessuno aveva ancora provato funzionasse. Invece, sembra proprio che riconoscere un pedofilo o un rapitore guardando gli occhi delle vittime, nelle foto loro scattate proprio dai carnefici, sia possibile. A dimostrarlo è uno studio dell’Università di York pubblicato su PLoS One, nel quale si prova che l’occhio funziona come una sorta di piccolo specchio: se si ingrandisce l’immagine del riflesso e si applicano dei filtri per renderla più nitida si può riconoscere la figura dell’aggressore in almeno il 71% dei casi.

Il sorprendente risultato si ottiene anche quando le foto sono piccole, delle dimensioni di una fototessera, purché queste siano ad alta risoluzione e corrette in modo da aumentare il contrasto tra le zone più luminose e quelle più scure. Per ottenere questo risultato, i ricercatori hanno fatto guardare ad alcuni volontari immagini manipolate a partire dal riflesso dell’occhio delle vittime, e poi le hanno messe a confronto con le foto segnaletiche dei volti di possibili carnefici.

In questo modo gli scienziati hanno ottenuto il riconoscimento in oltre il 70% dei casi quando i volti erano sconosciuti e addirittura nell’84% quando il finto aggressore era un volto noto a chi si sottoponeva al test. Inoltre gli studiosi hanno dimostrato che nel caso in cui il volontario conosca il potenziale aggressore, il riconoscimento è possibile anche senza un confronto con foto segnaletiche.

Il risultato, secondo i ricercatori inglesi, potrebbe aiutare a risolvere crimini in cui le vittime sono fotografate – come nel caso di foto di ostaggi, o a quelle dei bambini che finiscono nelle mani dei pedofili, che poi ne riprendono le sevizie – in modo da riconoscere i colpevoli, eventuali complici o anche la location nella quale si svolge il delitto.

“La capacità umana di riconoscere i volti è quasi incredibile”, ha spiegato Rob Jenkins, primo autore dello studio apparso sulla prestigiosa rivista scientifica. “Soprattutto se si pensa che le immagini recuperate dai riflessi negli occhi possono essere anche 30 mila volte più piccole della stessa faccia delle vittime. Il che – ha concluso – fa anche comprendere quale sia il potenziale della fotografia ad alta risoluzione, che ad oggi ancora non abbiamo esplorato del tutto”.

L’abstract su PloS One

di Laura Berardi

Dal Fatto Quotidiano del 20 gennaio 2014

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