La guerra tra ambientalisti tarantini e Arpa Puglia ora si gioca sui numeri. I nuovi dati sulle emissioni di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) nell’aria di Taranto segnano il nuovo terreno di scontro tra Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, che li definisce “inaccettabili”, e il direttore generale dell’agenzia Giorgio Assennato che invece parla di “un attentato alla serenità dei tarantini” e di dati “divulgati per squallidi fini politici”. I dati, secondo le rilevazioni effettuate da Peacelink a circa 5 chilometri dall’impianto industriale, descrivono una presenza di Ipa compresa tra i 17,7 nanogrammi al metrocubo (ng/m3) e i 22 ng/m3. Dati allarmanti secondo gli ambientalisti che ritengono “accettabili” i valori che si attestano sui 6 ng/m3 ed “eccellenti” quelli vicini a 2 ng/m3. Non solo. Per gli ambientalisti i valori diffusi da Arpa negli ultimi mesi sono anche peggiori: dati raccolti nel quartiere Tamburi, a pochi metri dalla fabbrica, che tra agosto e dicembre variano da una media minima di 30,8 ng/m3 a una massima di 43,9 ng/m3.

Numeri addirittura quasi raddoppiati secondo Peacelink rispetto ai dati del 2009 e 2010. Gli stessi numeri che invece, Giorgio Assennato, definisce “ridicoli” tanto che “farebbero ridere tutto il mondo scientifico”. Perché “tutte le agenzie ambientali d’Italia utilizzano il dispositivo che ha in dotazione Peacelink, ma nessuno diffonde i singoli dati: perché quei dati, da soli, non significano niente”. Arpa Puglia, secondo quanto Assennato spiega al fattoquotidiano.it, li utilizza per studiare come si disperdono gli Ipa allontanandosi dalla sorgente: “Dovremmo parlare di allarme nel caso in cui ci trovassimo di fronte a valori con tre cifre. Queste campagne di disinformazione servono solo ad agitare i tarantini. La verità – aggiunge ancora il dg Arpa – è che questa storia mette in evidenza due errori: il primo commesso dall’Ilva che ci impedisce di utilizzare in modo corretto la centralina che si trova nel reparto cokeria (quello ritenuto causa principale delle emissioni nocive, ndr) e l’utilizzo a fini di propaganda poltica di valori che non hanno alcun fondamento scientifico”.

E ad alimentare le polemiche, dopo l’aria ci si mette anche il mare di Taranto diventato improvvisamente rosso in un tratto del litorale. Le “eco sentinelle” diffondono le foto sul web e Bonelli rilancia: “Si tratta di un fatto estremamente grave su cui vanno immediatamente accertate le cause, perché il color ruggine potrebbe essere stato provocato da qualche nave cisterna carica di materiali ferrosi che ha scaricato il materiale al porto ha pulito la stiva a ridosso della costa”. Arpa Puglia si reca sul posto ed effettua dei prelievi e rassicura: si tratta della “microalga dinoflagellata ‘Noctiluca scintillans’” non di inquinamento dovuto allo sversamento di idrocarburi. Poco dopo arriva anche la conferma della Guardia costiera: “Le analisi di laboratorio – scrivono i militari – i cui esiti saranno resi noti nei prossimi giorni, dovrebbero confermare l’origine naturale del fenomeno, scongiurando così i timori di tanti cittadini sulla natura inquinante della sostanza anomala riscontrata”.

Potrebbe essere sufficiente a descrivere un clima di tensione. Ma c’è anche dell’altro. Perché nei giorni scorsi alcune foto dei fumi presenti sullo stabilimento avevano preoccupato i cittadini di Taranto. In un comunicato la stessa Ilva ha precisato che “nello stabilimento non risultano essersi riscontrati eventi anomali il giorno 1 gennaio 2014 tali da poter generare particolari fenomeni emissivi”, aggiungendo che le centraline “non hanno evidenziato in tale giorno valori anomali degli inquinanti monitorati”. Ma come spiega l’azienda l’imponente nube di fumo denso e bianco? Per l’Ilva “i fenomeni ripresi nelle immagini sono verosimilmente riconducibili alla presenza di un grosso corpo nuvoloso insistente sull’area dello stabilimento. Infatti, il corpo nuvoloso si presenta distaccato rispetto alle emissioni di vapore acqueo prodotto dalle attività dello stabilimento”. In più “da dati meteo si evince che il giorno 1 gennaio 2014 è stato caratterizzato da un elevato tasso di umidità con valori dell’ordine del 90 percento circa”. Insomma, colpa del tempo.

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