C’è una deputata del Parlamento italiano, membro della Commissione Difesa della Camera, che crede nell’esistenza di esseri per metà umani e per metà pesce. Del resto si sa, se una donna fa l’amore con un pesce, potrebbe generare una donna pesce. Se una caciotta si accoppia con un cavallo ne uscirà… vabbè. L’aspetto più interessante è che l’onorevole dà mostra di non essere estranea alla “cultura del merito” di cui si fa un gran parlare in questo periodo, e si domanda come mai gli “scienziati” che hanno scoperto tale forma di vita aliena siano stati cacciati dalla National Oceanic and Atmospheric Administration. È interessante perché ci permette di capire come mai in Italia ogni volta che c’è da rimodulare la spesa pubblica per soddisfare le richieste di qualche lobby grande o piccola (che so, quella dei camionisti), i soldi si sottraggono alla ricerca scientifica. 

Con un Parlamento del genere c’è poco da stupirsi.

Potremmo citare dozzine di deputati e ministri incappati in incidenti simili (ricordate i neutrini nel tunnel?) a testimonianza del fatto che il problema non riguarda solo lo schieramento dell’onorevole appassionata di chimere, e investe invece anche la maggioranza cui il partito delle sirene si oppone.
I politici, anche su questo, si limitano a rappresentare (spesso inseguire), la cultura dominante. Qualche tempo fa ilfattoquotidiano.it aveva denunciato la chiusura del corso di studi di genere all’Università della Calabria. Sotto la notizia, una valanga di commenti scandalizzati. Per la chiusura del corso? No, per il fatto che potessero esistere studi tanto inutili. Eppure l’approccio di genere, trasversale a tutte le scienze umane, ha un’importanza fondamentale per la comprensione dei fenomeni economici e sociali.

Il punto è che se la ricerca non dà risultati immediatamente visibili e comprensibili dai più, allora sembra inutile. “Perché dovremmo pagare uno scienziato, se sappiamo fare le scarpe più belle del mondo?” si chiedeva nel 2010 l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi.

La stessa domanda continuano probabilmente a porsela tutti i governi, indipendentemente dal numero di professori universitari di cui sono più o meno farciti. L’esecutivo guidato da Berlusconi è stato il primo a stabilire che il settore pubblico dovesse assumere meno scienziati, con l’introduzione nel 2008 (DL 112) del cosiddetto “blocco del turnover”, poi esteso nel 2010 (con il DL 78), per il quale durante il triennio 2012-2014 le università statali avrebbero potuto assumere nuovi ricercatori e professori solo nel limite di una spesa corrispondente al 20% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. Nel 2015, la quota sarebbe dovuta salire al 50%, per poi tornare al 100% nel 2016. In parole povere, per ogni 10 professori o ricercatori che vanno in pensione, le università possono sostituirne con nuovo personale soltanto due.

Nell’attuale esecutivo, il Decreto del Fare ha portato il ricambio al 50% già nel 2014, con un anno di anticipo, provocando il commento entusiastico del ministro dell’Istruzione: “una svolta storica e che crea nuove opportunità di reclutamento per i giovani”.

Ma come scrive Francesco Buscemi su Il Post, la legge di stabilità ha poi spalmato la riduzione del turnover su altri due anni rispetto a quanto originariamente previsto dal governo Berlusconi. Nel testo all’esame del Senato si legge: “Università ed enti di ricerca potranno procedere al turn-over del personale nella misura del 60% nell’anno 2016, dell’80% nell’anno 2017, e del 100% a decorrere dall’anno 2018, anziché del 50% nell’anno 2015, e all 100% a decorrere dall’anno 2018”. Secondo la tabella riportata a pagina 120 della Legge di stabilità (da cui è tratto il virgolettato precedente), ciò consentirà all’università di risparmiare 28 milioni di euro nel 2016, 70 milioni nel 2017 e 80 nel 2018.

A quanto pare, se questo passaggio della Legge (ora in discussione nella Commissione bilancio del Senato) non sarà emendato, non si prefigura alcuna riduzione del blocco del turnover, che anzi viene prorogato. L’entusiasmo della ministra si rivelerà quindi infondato.

Non è un caso che nel paese dei neutrini nei tunnel e delle sirene insabbiate si continui a tagliare fondi a università e ricerca. Tagli dopo tagli, le topiche delle classi dirigenti di domani diventeranno sempre più ridicole. Ma niente paura, sapremo sempre fare le scarpe più belle del mondo.

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