Nei bar di via Pascarella nessuno sa chi siano i Tatone. Eppure qui a Quarto Oggiaro questo cognome per anni ha dettato la propria legge criminale. “Mai sentiti”, si taglia corto. Sguardi cattivi. Meglio uscire. Stessa scena in via Lopez. E’ domenica sera, e su Milano inizia a piovere, ma qui i locali sono affollati. Qualcuno alza la voce, discute. Solo poche ore prima in via Lessona le pistole hanno fatto fuoco. Dieci colpi per due persone. Alcuni alla testa. Esecuzione in piena regola. La notizia della morte di Emanuele Tatone, 52 anni, è già arrivata in quartiere. Ed è per questo che si tace davanti agli estranei. Un silenzio che in sé è manifestazione di forza. Quel nome non si tocca. Soprattutto oggi che qualcuno ha ucciso un membro illustre del casato originario di Casaluce in provincia di Caserta. Con Tatone muore anche Paolo Simone, 57 anni,  piccolo pregiudicato di periferia.

I cadaveri vengono trovati ai bordi di un viottolo che corre attorno a un campo di terra. Il corpo di Simone sta accanto alla sua macchina. Mentre quello di Tatone viene individuato a dodici metri di distanza. Stava fuggendo. I killer lo hanno raggiunto e giustiziato con un colpo alla testa. Stessa sorte capitata a Simone. A poche ore dal duplice omicidio, la polizia ragiona ma non fa ipotesi. Certo l’esecuzione ricorda dinamiche mafiose. E del resto il luogo del crimine ne è impregnato. Via Lessona, infatti, è l’ultima strada che chiude l’area degli orti. Li chiamano gli orti di Vialba, ma di verdura se ne vede poca. In compenso si trovano armi e tutto ciò che si può rubare. Qui la malavita è di casa. Italiana, mafiosa, calabrese. Fin dal 1998, quando la Criminalpol arriva in questo lembo di periferia indagando sul sequestro dell’imprenditrice Alessandra Sgarella. Il posto viene imbottito di cimici e telecamere. I boss si riuniscono e vengono fotografati. Dodici anni dopo, la Direzione distrettuale antimafia di Milano torna agli orti e torna a fotografare gli stessi personaggi della ‘ndrangheta che qui si incontrano per parlare d’affari e di mafia.

Ecco, allora, dove oggi è stato ucciso Emanuele Tatone. Secondo le prime testimonianze raccolte dalla polizia, alcuni pensionati che stavano agli orti hanno sentito gli spari. Nessuno, però, ha dato l’allarme che è scattato verso le tre del pomeriggio dopo che un signore, camminando ai bordi del campo, ha visto un primo cadavere. Il secondo è stato individuato dagli agenti delle volanti. I rilievi della scientifica sono andati avanti fino a tarda sera. Entrambe le vittime sono state giustiziate con un colpo alla testa. Il cadavere di Tatone è stato trovato a 12 metri di distanza in un disperato tentativo di fuga. Sul luogo dell’omicidio è stata individutata anche l’auto di Simone. Ma a far rumore è la morte di Emanuele Tatone. Una vita, la sua, da sempre dedicata alla droga da spacciare prima e da consumare poi. 

Tossicodipendente, nel 2002, Tatone sparò in pancia a un uomo che aveva insidiato la sua ex fidanzata. Nel 2010, dopo essere stato sfrattato da un alloggio popolare inscenò una protesta sotto a una tenda. All’epoca i giornali lo dipinsero come un ex boss. In realtà Tatone non è mai stato un boss. Violento, invece, sì. Sbruffone anche. I veri boss sono i suoi fratelli: Mario, Pasquale e Nicola. L’ultimo è in carcere, gli altri due sono liberi. E ieri sera tra via Pascarella e via Lopez si respirava un’aria strana. I bar della malavita erano pieni. E mentre per strada ci si chiede chi possa essere stato, il segnale che arriva dal clan Tatone è chiaro: “Ora ci pensiamo noi”. Parole che preoccupano gli investigatori. Si teme che possa scorrere altro sangue. Decisivo sarà inquadrare il movente del duplice omicidio. Molte le piste battute. Quella della droga resta la principale. Forse una partita non pagata a Tatone. Sullo schema di quello che è successo nel 2012 in via Muratori quando, si è scoperto poche settimane fa, i coniugi Spelta furono uccisi da chi la droga non voleva pagarla. Ma c’è anche il carattere violento di Emanuele Tatone che potrebbe aver infastidito qualche boss più in alto di lui.

L’ultima volta che a Quarto Oggiaro si sparò e si uccise fu nel 2009, quando in via Pascarella venne giustiziato Franco Crisafulli, fratello di un padrino della ‘ndrangheta. Ancora prima, nell’agosto 2007, nel Parco delle Groane fu ritrovato il cadavere di Francesco Carvelli, nipote di un boss calabrese che per anni ha gestito lo spaccio in via Capuana. Negli anni Novanta il quartiere fu teatro della faida tra la famiglia Batti e il clan di Coco Trovato e Pepè Flachi. Nel 1990 fu ucciso Pantaleo Lamantea. Un anno dopo in via Porretta toccò a Rosalinda Traditi, convivevente di Ciro Batti. E ora si ricomincia.

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