Si preannuncia una guerra piuttosto accesa in casa Mediaset che all’indomani delle elezioni ha chiamato a raccolta le rappresentanze sindacali. Obiettivo: ridurre al massimo il danno sui conti del gruppo televisivo tagliando i costi per almeno 500 milioni di euro. Mezzo scelto: rinegoziare il costo del lavoro, a partire dai contratti integrativi dei giornalisti, inclusi premi produzione e aggiornamento professionale, ma anche remunerazioni di notturne, trasferte e festività lavorate. Ma al momento la trattativa è tutta in salita.
Il fatto che la situazione fosse decisamente poco rosea era noto, ma ultimamente i campanelli d’allarme non fanno che moltiplicarsi. L’ultima conferma è arrivata dallo stesso Silvio Berlusconi il 19 febbraio scorso. “Non c’è azienda editoriale in Italia che in questo momento produca utili, anzi sono tutte in perdita – aveva detto alla web tv del Corriere della Sera– compresa Mediaset che per la prima volta da quando è stata fondata uscirà con un bilancio che denuncerà delle perdite”. La virata verso il rosso era emersa a metà novembre, quando Cologno aveva annunciato per i primi 9 mesi del 2012 una perdita di 45,4 milioni contro l’utile di 164,3 milioni registrato nello stesso periodo del 2011.
Non più tardi di tre mesi prima, però, Mediaset aveva attaccato la stampa italiana che a suo dire aveva usato toni e titolazioni “inaccettabili” nelle cronache finanziarie con le quali erano stati riportati i conti del primo semestre del gruppo televisivo che ha quindi “respinto vocaboli come “crisi”, “crollo, “ko” usati nei resoconti giornalistici”. Peccato che in quel momento Cologno stesse perdendo quasi un milione di euro al giorno (-88 milioni il saldo del trimestre). Una volta venuta a galla la situazione, il Biscione aveva annunciato un rafforzamento del piano di taglio dei costi, che però stava già funzionando ben oltre i progetti originari: l’obiettivo di una riduzione di 250 milioni di euro all’anno, varato nel 2011 e da conseguire in tre anni, è stato infatti raggiunto anticipatamente a fine 2012.
Da qui l’escalation: le ipotesi prospettate in estate ai sindacati erano di arrivare a risparmiare 400 milioni l’anno entro il 2014. Obiettivo che a novembre è stato alzato a quota 450 milioni. E ora le indiscrezioni che trapelano da Cologno parlano di un nuovo rialzo, questa volta a 500 milioni. Anche perché da novembre le cose non sono affatto migliorate. Se infatti i primi 9 mesi del 2012 avevano visto la raccolta pubblicitaria del gruppo calare del 14,9%, settembre si era chiuso con un crollo del 23 per cento. Un andamento che, secondo le dichiarazioni degli stessi manager di Publitalia, si era replicato anche a ottobre. A novembre, poi, un ulteriore peggioramento che secondo stime ufficiose di mercato si aggira intorno a un -25/27 per cento. E Natale non ha affatto brillato, tanto che le attese per fine 2012-inizio 2013 sono piuttosto cupe, nell’ordine del -20 per cento. Ne sanno qualcosa in Publitalia, la concessionaria di pubblicità del gruppo che a cavallo di Natale ha licenziato in tronco circa 35 dirigenti, tra i quali un paio di vicedirettori generali.
Con i giornalisti delle tv, invece, non si parla al momento di esuberi, ma si cerca appunto di spuntarla sui contratti già in essere e, in alcuni casi, ben lontani dalla scadenza. Gli spazi per un accordo, però, sono piuttosto limitati. Anche perché gli integrativi rappresentano almeno il 30% delle retribuzioni complessive. E le festività lavorate in redazioni come quelle sportive rappresentano l’ordinaria amministrazione. Le assemblea delle diverse redazioni del gruppo si stanno comunque riunendo in questi giorni per deliberare una posizione netta, ma al momento si contano più le opposizioni che non le aperture.
Come dimostra per esempio il caso di NewsMediaset che lunedì 4 si è dichiarata “indisponibile a discutere di rinunce a qualsiasi titolo, sia pure in una situazione di difficoltà dell’Azienda”, fino a quando non verranno risolte altre problematiche non più rinviabili. Come la stabilizzazione dei precari, l’organizzazione del lavoro e la “riduzione degli sprechi“. Fino ad allora non si parlerà neanche di smaltimento delle ferie arretrate. Non solo. L’assemblea ha inoltre dichiarato “inaccettabile qualunque richiesta di impegnarsi su nuove produzioni, programmi, singole lavorazioni e di ridiscutere il Contratto integrativo aziendale” e ha affidato alla rappresentanza sindacale un pacchetto di cinque giorni di sciopero.
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