Da attore marginale a protagonista assoluto del mercato petrolifero del Pianeta. Potrebbe essere questo il destino dell’Australia qualora dovessero rivelarsi esatte le stime più ottimistiche circa l’ammontare complessivo delle riserve nazionali di greggio. A suscitare entusiasmo, in particolare, è l’annuncio ufficiale della Linc Energy, una società del settore che detiene i diritti di esplorazione ed estrazione nel bacino di Arckaringa, nel sud del Paese. Due diversi rapporti commissionati alle società DeGolyer&MacNaughton (D&M) e Gustavson hanno infatti stimato rispettivamente in 103 e 233 miliardi di barili il totale delle riserve potenziali contenute nell’area. Due valutazioni molto diverse, ovviamente, che, tuttavia, hanno in comune l’eccezionale ordine di grandezza.  

“Se consideriamo i 233 miliardi di barili – ha spiegato alla ABC News il ceo di Linc Energy Peter Bond – allora stiamo parlando di numeri da Arabia Saudita”, ovvero del leder mondiale dell’oro nero. All’Australia, ricorda oggi il Daily Telegraph, sono state attribuite fino ad oggi riserve totali pari a 3,9 miliardi di barili, circa lo 0,2% dell’ammontare complessivo globale. Alla luce della nuova scoperta, ricorda ancora il quotidiano britannico, le stime più favorevoli consentirebbero al Paese di entrare ufficialmente nel gotha dei grandi produttori mondiali. Quelle più caute, in ogni caso, permetterebbero all’Australia di trasformarsi in un esportatore netto, ovvero di raggiungere l’autosufficienza energetica con una ricaduta positiva sulla bilancia commerciale.  

La vicenda richiama immediatamente alla memoria le recenti previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (International Energy Agency – IEA) sul futuro dell’export americano. A novembre, in occasione della pubblicazione del rapporto annuale “World Energy Outlook 2012”, la Iea si era spinta a pronosticare il sorpasso Usa sull’Arabia Saudita nella classifica dei produttori mondiali di greggio entro il 2020 con conseguente aumento delle esportazioni a stelle e strisce e inevitabile calo del disavanzo commerciale. Nel caso statunitense, hanno affermato gli analisti della banca HSBC, il risparmio potrebbe valere 85 miliardi di dollari all’anno a fronte di un meno 25% alla voce import petrolifero. Insomma, una vera e propria rivoluzione geopolitica.  

Il parallelo con gli Stati Uniti appare scontato. Non è un caso, infatti, che nella nota ufficiale presentata da Linc Energy le potenzialità di Arckaringa vengano paragonate a quelle di due celebri giacimenti americani: quello di Bakken, in Texas, e quello di Eagle Ford, nel North Dakota. In entrambi i casi, così come per il giacimento australiano, parla di shale oil, ovvero di petrolio depositato nelle profondità rocciose. La stessa caratteristica del promettente e contestato shale gas per il quale, nel corso degli anni, sono state sviluppate tecniche di estrazione quali perforazione verticale, orizzontale e hydrocracking tramite l’iniezione in profondità di liquidi ad alta pressione. Una tecnologia, quest’ultima, che, al netto dell’impatto ambientale, consentirebbe il raggiungimento di nuove riserve energetiche tanto sul fronte del gas quanto su quello del petrolio. 

Secondo il ministro degli affari minerari Tom Koutsantonis, citato ancora dal Telegraph, le riserve di shale oil nell’Australia meridionale potrebbero valere fino a 20 trilioni di dollari (oltre 15 mila miliardi di euro) anche se i costi complessivi di estrazione non sono ancora chiari. Linc Energy, nel frattempo, ha annunciato di aver dato incarico a Barclays Bank di svolgere il ruolo di consulente nello sviluppo di opzioni strategiche a cominciare dall’individuazione di un nuovo partner per operare in joint venture nel processo di estrazione del greggio.

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