Decreto sui costi della politica, minuti contati al Senato per l’approvazione. Il provvedimento scade il 9 dicembre ed entro quella data dovrà essere convertito in legge, pena la decadenza. Ecco perchè si rincorrono voci su un possibile ricorso alla fiducia da parte del governo per non perdere gran parte delle norme. Alla Camera sono stati fatti cambiamenti radicali, ma non c’è tempo per poter intervenire di nuovo e ripristinare alcune parti (buone) del testo originario. Come quelle sui tagli ai vitalizi. Nonostante nelle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio di Palazzo Madama siano stati presentati oltre 370 emendamenti (che anche se solo parzialmente approvati, costringerebbero ad un ritorno del testo alla Camera e questo si rivelerebbe esiziale) si cercherà di evitare di mettere mano al testo. C’è troppo timore che il provvedimento possa decadere, costringendo il governo ad intervenire ex novo, ma anche in questo caso non ci sarebbero i tempi per concludere un nuovo iter prima della fine della legislatura. Insomma, per il decreto taglia (parzialmente) i costi della politica, questa è davvero l’ultima spiaggia. E la fiducia, quindi, si avvicina.

Ma non è solo il decreto sui costi della politica a essere a rischio. In questi giorni in Senato si è bloccato un po’ tutto. Non solo la legge elettorale ha segnato nuovamente il passo costringendo Napolitano ad un intervento diretto, visto che le “rassicurazioni” di Maurizio Gasparri e Anna Finocchiaro non avevano affatto convinto, ma anche altri provvedimento si sono improvvisamente inchiodati. La delega fiscale è tornata in commissione per mancanza di accordo su più fronti, dall’accorpamento delle agenzie fiscali all’arbitrato fino al contrasto d’interessi. Insomma, tutto fermo. Per colpa di chi? Del Cavaliere. E non del Pdl, questa volta. Già, perché ormai si ragiona su due entità distinte sul fronte del centrodestra. In attesa di conoscere le mosse dell’ex presidente del Consiglio, tutte le forze politiche si sono arenate; manca, di fatto, un interlocutore credibile con cui costruire maggioranze e accordi. Non si sa, insomma, se il capogruppo Gasparri è ancora un referente diretto di tutto lo schieramento o solo di quella parte che è destinata, prima o poi, alla scissione. Anche perché Berlusconi, parlando con i suoi fedelissimi a palazzo Madama, ha dato un input chiarissimo: “Non votate più niente”. E con un centrodestra spaccato e allo sbando non si va da nessuna parte. Il Cavaliere, insomma, ha imbalsamato il Senato. Fino a nuovo ordine che, secondo alcuni suoi famigli più fedeli, significa almeno fino a quando non si sarà celebrato il ballottaggio tra Bersani e Renzi. Con l’occhio ai sondaggi, Berlusconi ha deciso di cavalcare l’ondata anti-Monti del suo elettorato proprio con queste prime “avvisaglie” di blocco dei provvedimenti più delicati in vista della fine della legislatura. Non ha più remore a tirare la corda il più possibile.

La giornata di martedì ha fotografato bene la paralisi nella quale sta trascinando il Parlamento. A cominciare proprio dal blocco della delega fiscale, un segnale inequivocabile, visto quanto era atteso il provvedimento dal mondo delle imprese. II ddl è approdato in Aula, anzi era attesa la fiducia proprio per licenziarlo in fretta, ma improvvisamente – su input della Lega e di una parte del Pdl – è morto e rispedito in commissione. Il governo vorrebbe reagire, ma appare impotente. “II problema – ha ammesso ieri con franchezza il sottosegretario al Tesoro Vieri Ceriani – è che non si sa più chi rappresenta il Pdl”. Anche la riduzione delle Province potrebbe finire nel cestino. Il Pdl è infatti orientato a ripresentare in aula la pregiudiziale di costituzionalità. Terzo fronte di scontro la legge elettorale; l’ ennesimo rinvio alla prossima settimana è dovuto alle indecisioni del Cavaliere. Pronto a formare una costellazione di listarelle e quindi interessato al mantenimento del Porcellum (senza le preferenze per poter decidere quali fedelissimi riportare in Parlamento). Insomma, un intero Parlamento ed il governo ostaggio della sorte del Pdl.

Pare di essere tornati a qualche mese fa, quando Berlusconi comandava davvero e non con l’arma del ricatto. Intanto, il resto delle forze politiche cercano di fare il possibile per non perdere almeno alcuni provvedimenti importanti come quello dei tagli ai costi della politica. Su questo fronte, si sta cercando di non modificare in alcun modo il testo uscito dalla Camera, per evitare un terzo passaggio della legge a Montecitorio che farebbe inevitabilmente cadere tutto il castello di carte; i tempi non ci sono. Eppure, nonostante le raccomandazioni, sono comunque spuntate delle novità rilevanti: come quella presentata da un gruppo di senatori Pdl della Campania (primo firmatario Vincenzo Nespoli) per istituire un Fondo per dare una mano alle Regioni in rosso, aiutandole a coprire il buco di bilancio. Come? Facendo ricorso al “Fondo di rotazione” per il quale si chiede una dotazione di 500 milioni nel 2013 e 1 miliardo nel 2014 (contro i 200 milioni previsti dal governo), con l’erogazione di somme pari a 100 euro per ciascun abitante, il che farebbe avere alla Campania 580 milioni. Modifiche che, però, difficilmente resisteranno alla prova dell’aula.

L’aria che tira, si diceva, è quella di una fiducia per portare a casa quel che c’è. E che – soprattutto – non c’ è. Bisogna, infatti, ricordare che la Camera ha già cancellato dal testo originario il controllo preventivo della Corte dei Conti su tutti gli atti di spesa delle Regioni e degli enti ad esse collegati. Il controllo ci sarà, ma solo sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi ogni sei mesi. Tutta un’altra cosa. Così come è noto che si continuerà a pagare i vitalizi dei consiglieri di ben 17 regioni italiane. E, soprattutto, continueremo a pagare quello di personaggi come Franco Fiorito o come Nicole Minetti. Almeno fino alla prossima legislatura, quando le cose cambieranno: in buona sostanza, ci saranno solo pensioni contributive che i vari enti decideranno autonomamente come calcolare, ma per quanto riguarda “questa” legislatura, tutto resta come prima. La Camera ha voluto così e i tempi per cambiare la norma non ci sono affatto. Da un calcolo orientativo che è stato fatto dal Tesoro, si tratta di oltre 170 milioni di euro (le cifre si riferiscono ad un conto fatto sulla base dei costi 2011) che sarebbero dovuti rientrare nelle tasche dello Stato se si fosse partiti da subito e che invece non ci rientreranno affatto. Per un cavillo, insomma, continueremo a foraggiare anche gli autori degli scandali. Sembra un paradosso, visto tutto questo, che il governo debba comunque intervenire con una fiducia per salvare, almeno, quel po’ di buono che è rimasto. Semprechè non preferisca affondare il provvedimento per non rischiare di andare a casa prima del tempo. Per colpa del Cavaliere, ovvio.

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