Una legge per brevettare il cane lupo italiano, una per salvare i limoneti sull’Isola di Procida. Tre per elevare lo status della sfoglia emiliana, quattro salva-tartufo, una per legalizzare la grappa della nonna. Gli agricoltori hanno il coltello tra i denti. La Coldiretti chiede cosa facciano i parlamentari mentre il settore perde migliaia di aziende e di posti di lavoro. C’era una sola legge cui tenevano davvero, quella sulla dismissione dei fondi agricoli demaniali. S’è fatta tutta la legislatura, è stata pure approvata, doveva essere solo pubblicata entro il 30 giugno. Niente da fare. Così non è stato e all’assemblea generale di giugno il direttivo della confederazione è tornato all’attacco: che ci stanno a fare i parlamentari laggiù?

Difficile dargli torto: nel corso della XVI legislatura sono state presentate e assegnate alle competenti commissioni di Camera e Senato 265 proposte di legge, ma dopo quattro anni due soltanto tre diventate leggi (leggi l’articolo sui numeri relativi a tutta l’attività parlamentare). Gli altri tentativi di governare da Roma il mondo agricolo e il regno vegetale e animale non vedranno mai la luce, con viva soddisfazione delle nutrie, grande incertezza per il cavallo e cocente delusione per il cane lupo del Piemonte. Resteranno sulla carta anche il salva-tartufo e la legge per istituire “le strade del pesce”. Infestano da le campagne, rovinano le colture e sono anche bruttine da vedere: i parlamentari d’ogni provenienza, sensibili alle lamentele degli agricoltori, ogni anno si mobilitano per decretare l’abbattimento delle nutrie. Lo fanno nel 2009, nel 2010 e 2011 e l’ultima proposta è dello scorso 4 luglio. Ma nessuna è passata e i grossi roditori baffuti sono liberi di proliferare.

Grande rammarico, invece, per il “cane lupo italiano”. Un destino crudele il suo. In Piemonte ce ne sono 1.772 esemplari, l’orgoglio della giunta regionale che nel 1996 ne fa il simbolo della locale Protezione civile. Ma lui non deve sentirsi poi tanto protetto, da tre anni infatti attende invano di essere brevettato da un apposito ente per la riproduzione selettiva. Non si trovano i fondi necessari all’isolamento del suo genoma. Perché? Perché dal 1991 ben quattro proposte di legge si proponevano di reperirli e sono tutte decadute prima ancora di essere discusse. Una sola, quella del 1998, approda in commissione ma ci rimane per due anni e quando viene approvata, a febbraio del 2001, è troppo tardi: il 23 aprile si insedia il secondo governo Berlusconi e il provvedimento non fa in tempo ad arrivare in aula.

I parlamentari amano i cavalli. Almeno a giudicare dal numero di proposte rivolte al mondo equino. Ma c’è chi li vorrebbe riconosciuti come animali d’affezione, come l’onorevole Paola Frassinetti (Pdl), e chi a trottare negli ippodromi muovendo gli ingranaggi delle scommesse. In tutto 13 progetti di legge. E sono ancora tutti lì, intonsi. Insomma, campa cavallo. Anche la tutela del pesce e del settore ittico è una priorità parlamentare. Lo afferma il senatore Scarpa Bonazza Buora del Pdl quando usa la parola “urgente” per chiedere misure a sostegno del comparto. E lo fa con toni enfatici perché il Pdl è tornato a governare da sei mesi con una maggioranza bulgara: “Onorevoli Senatori (…) l’Italia ha cambiato pagina e la responsabilità delle scelte pesano su spalle e uomini diversi”, scandisce l’introduzione alla proposta salva-branzino. Ma dopo tre anni l’urgenza è rimasta lì, nel titolo. Perché il testo, presentato al Senato il 27 gennaio 2009 e assegnato in tempi record alla commissione, dopo tre anni è ancora lì, nonostante i pareri favorevoli di cinque commissioni. Alla faccia dell’urgenza.

Capita la solfa, un mese dopo, è un parlamentare del Pd, Nazzareno Oliverio, a chiedere “interventi straordinari per il settore ittico”. Ma anche qui lo straordinario si diluisce col passare del tempo e quello stesso testo oggi è ancora sotto esame. Del resto una spaccatura profonda sul pesce divide il Parlamento. C’è chi chiede di istituire “le strade del pesce” (Giorgio Costa, Pdl) e chi le valli (Felice Casson, Pd), chi vorrebbe incentivare e chi limitare la pratica industriale o amatoriale in un groviglio di proposte di segno opposto. Quando vegetale e animale sono cotti e serviti nel piatto allora finalmente regna la pace. Sport molto diffuso degli onorevoli è prendersi a cuore un prodotto o un piatto tipico de iure, conferendogli il giusto riconoscimento. Nel conferimento di uno status giuridico, come potrebbe essere altrimenti, trionfa la pasta sfoglia. Tre i progetti di legge per elevarla al rango di prodotto nazionale tutelato. Ci provano, in serie, Marco Beltrandi e Ivano Miglioli (Pd) e Enzo Raisi (Pdl). Solo un caso che siano rispettivamente bolognese, modenese e di San Lazzaro di Savena (Bo). Malizioso pensare che se fossero stati di Dobbiaco avrebbero battagliato per i canederli.

I politici più chic si battono strenuamente in difesa di prodotti meno casarecci come l’onorevole tartufo, passione bipartisan. Lo fa Gabriella Carlucci (Pdl) a ottobre del 2008, lo ribadisce nel 2009 Massimo Fiorito per il Pd e ci prova anche Di Giuseppe (Idv). Ma non è mica roba per tutti. In quattro anni la battaglia per il tartufo dop non trova grandi adesioni e non viene discussa, il buon senso induce ad accorpare le proposte parcheggiate. Ma ecco che a maggio di quest’anno arriva la quarta, stavolta a firma di Monica Faenzi. E il salva-tartufo, magicamente, riparte.

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