C’è chi parla di attacco al Parlamento, di rappresaglia del ministro contro la stampa e chi chiama in causa il presidente Napolitano. Un’altra bufera si abbatte sul ministro del Lavoro Elsa Fornero per un’uscita a sorpresa che non promette bene per i precari. Stavolta si parla di giornalisti. Il ministro doveva dare il parere del governo alla legge sull’equo compenso, un provvedimento molto atteso che promette di riportare giustizia nel selvaggio mondo delle collaborazioni giornalistiche che vede gli editori pagare precari in moneta e incassare milioni di euro in contributi pubblici. Non è un modo di dire, l’Ordine dei giornalisti ha messo nero su bianco compensi erogati e provvidenze incassate, segnalando pagamenti da 2 euro a pezzo a fronte di aiuti milionari. Difficile non essere d’accordo. E il governo aveva fornito un parere favorevole alla legge poi approvata all’unanimità dalla Camera. In pochi minuti, oggi, quel parere è diventato però carta straccia al Senato. A Palazzo Madama, infatti, il ministro Elsa Fornero doveva fornire il nullaosta dell’esecutivo alla Commissione Lavoro ed è stato di segno contrario. Lei stessa, all’uscita, ha riferito di aver espresso “molte riserve e perplessità”. Il ministro ha spiegato poi che, per quanto riguarda il profilo lavoristico, nella riforma del Lavoro è già stata introdotta ”una soluzione al problema dei compensi dei lavoratori atipici” per cui sarebbe ”strano estrapolare dagli atipici una categoria e occuparsene con una norma diversa da quella generale”. Sotto il profilo editoriale, aggiunge Fornero, ”non mi sembra opportuno” introdurre una norma secondo cui gli editori che non rispettano le norme non devono ricevere contributi, in quanto bisognerebbe dare per scontato che ”le norme vengono osservate”.

Parole che minando al cuore la legge che proprio questo dice: chi non paga in maniera equa il lavoro giornalistico non può essere premiato dallo Stato con iniezioni di soldi pubblici (da qui, il nome equo compenso). La Commissione, totalmente colta alla sprovvista, sta costituendo un comitato ristretto per esaminare la questione perché lo stop della Fornero pone ostacoli alla prosecuzione del provvedimento in via legislativa. E intanto si registrano reazioni molto dure da chi ha lavorato per mandarlo in porto. La Federazione nazionale della stampa (FNSI) ha diramato una nota dai toni netti. “In un paese che assume a tempo indeterminato il Direttore Generale della Rai, è semplicemente inaccettabile che debbano continuare ad essere “flessibili” coloro che vengono pagati 3 euro a pezzo”, si legge. Il riferimento è alla recente nomina e allo stipendio di Luigi Gubitosi, neo dg di viale Mazzini stipendiato con 650mila euro l’anno. Ma è solo l’inizio. “L’odierno parere negativo capovolge il precedente positivo notificato dallo stesso esecutivo alla Camera e rischia di affossare un provvedimento atteso da migliaia di precari e precarie dell’informazione. Ma l’esigenza di un provvedimento legislativo sulla materia è urgente e indispensabile, come riconosciuto ancora pochi giorni fa dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Senato, che avevano sollecitato una positiva e rapida conclusione dell’iter legislativo in corso. Il sindacato dei giornalisti non starà a guardare. Il provvedimento per l’equo compenso è una risposta di civiltà contro il vero e proprio “caporalato” che affligge larghe aree dell’informazione, e permette a troppi editori senza scrupoli di sfruttare oltre ogni limite il lavoro dei giornalisti praticando, inoltre, una concorrenza sleale ai danni degli imprenditori corretti. Il governo non può dire di voler combattere la precarietà e l’illegalità nel lavoro e poi apparire e essere incoerente”.

Furente la reazione del presidente dell’Odg Enzo Jacopino: “Le faremo vedere, carte alla mano, cosa significa la precarietà nel 2012. Confidiamo che, se la Fornero è in buona fede, si potrà ravvedere. Ma mi pare ormai chiaro che il ministro ha una concezione proprietaria delle istituzioni, che con il suo parere oltraggia un ramo del Parlamento e il suo stesso governo. Se deve difendere gli interessi terzi lo dica chiaramente, almeno sappiamo cosa la ispira. Togliere i soldi agli editori che approfittano del precariato è non solo giusto per i precari ma per tutti gli italiani, di soldi pubblici si tratta”. 

Increduli i deputati che l’hanno proposta e si sono adoperati per mandarla in porto. Enzo Carra, primo firmatario esponente Udc, non usa mezzi termini: “Spero che la Fornero non si sia resa conto bene di quello che ha detto. Anche perché non deve essere il ministro a discettare su cosa il Parlamento ritiene opportuno o meno, a meno che la pressione degli editori in queste settimane non sia stata così forte da indurre la Fornero a fare un passo falso. Forse vorrebbe una legge senza sanzioni. Ma se è diventata il ministro degli Editori lo dica apertamente. Inoltre la riforma del lavoro porta il suo nome e avrebbe potuto esprimere queste riserve allora, tre mesi fa, quando il testo era in lavorazione. Ma le ricordo che la camera l’ha votata all’unanimità e che non più tardi di venerdì lo stesso presidente della Repubblica Napolitano ha auspicato l’approvazione in tempi strettissimi”. Non meno duro il presidente della commissione Lavoro al Senato e cofirmatario della legge Silvano Moffa (Pt): “Non si capiscono le ragioni che spingono il ministro Fornero a ritenere non necessaria la fissazione di un equo compenso per i giornalisti senza contratto. Che lo dica il ministro del Lavoro è paradossale perché dovrebbe combattere il precariato e garantire un sistema di regole certe che obblighi gli editori – naturalmente quella parte di editori – che ancora non rispetta un pur minimo livello di norme contrattuali. Mi auguro che il Senato vada avanti con decisione sulla strada che la Camera ha già percorso con l’approvazione del provvedimento sull’equo compenso in sede legislativa. Il ministro non si rende conto del fatto che la sua ingiustificata posizione costituisce un vero e proprio attacco al Parlamento. Non era mai accaduto in passato che una proposta approvata in sede legislativa da un ramo del Parlamento, con parere favorevole del Governo, venisse smentita dall’altro ramo del Parlamento”.

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