Fallisce definitivamente l’esperimento dei minimarket “super veloci” targati Plenty Market. Ieri pomeriggio il gruppo ha annunciato il tracollo della catena bolognese dei micro supermercati, che avrebbe dovuto fare concorrenza alla Coop. A casa tutti i 180 dipendenti, impiegati fra Bologna, Ferrara e Cesena. Solo a Budrio, comune d’origine dell’impresa, sono circa 80 i lavoratori rimasti senza lavoro, e per questo oggi, sabato, sono scesi in strada a manifestare.

La notizia del fallimento dell’Albrea, proprietaria dei Plenty, arriva a solo quattro giorni dalla vendita dei 19 negozi a un’altra azienda, la Korion spa, che in genere si occupa di rilevare ditte in via di fallimento, per poi tentare di rilanciarle. Quest’ultima aveva promesso di assorbire 130 lavoratori entro il 30 maggio.

“La notizia è arrivata ieri come una doccia fredda – racconta Debora Cervi della Filcams, il sindacato che sta seguendo la vicenda dei lavoratori del Plenty – portando al blocco di ogni trattativa in corso, dato che il curatore fallimentare sembra indirizzato verso un asta competitiva. Cosa che non darebbe alcun tipo di sicurezza ai lavoratori”. Non solo: “Noi abbiamo saputo che Plenty era fallito dalla Korion. Solo dopo, una volta diffuso l’allarme, la Albrea ha pensato di diffondere una comunicazione via mail”

La trattativa con il gruppo Pam, che fino ad aprile sembrava intenzionato a salvare negozi e negozianti attraverso l’acquisizione della catena, è saltata una settimana fa, concludendosi con un nulla di fatto. In estate, andò diversamente per 8 dei locali Plenty, passati nel luglio scorso al gruppo di Coop Adriatica, che aveva assorbito più di 60 lavoratori nell’organico del marchio InCoop, portandosi a casa un un fatturato stimato in oltre 20 milioni di euro complessivi.

Altra sorte invece per i restanti esercizi sparsi per le vie del centro di Bologna, che sono stati chiusi uno dopo l’altro. Una lunga agonia, visibile dagli scaffali sempre più vuoti, dal viso preoccupato dei commessi, e dai cartelli appesi all’entrata: “Non si accettano carte di credito e bancomat”.

“L’unica cosa che resta ora – spiega ancora Cervi – è l’allungamento della cassa integrazione per fallimento aziendale”. In questo modo si darebbe respiro ai lavoratori fino a maggio prossimo. E pensare che solo tre anni fa, grazie all’intuizione avuta nel 2000 dal patron Massimo Dall’Olio, ilPlenty poteva vantare un fatturato di ben 60 milioni di euro, proveniente dai suoi 33 punti vendita aperti anche la domenica. Tanto da spingere il numero uno dell’azienda a contribuire al restauro del complesso delle Sette Chiese di piazza Santo Stefano a Bologna, in onore del luogo in cui aprì il primo “fiore all’occhiello” del Gruppo.

La holding familiare Multifin, fondata dalla famiglia Dall’Olio (che controllava anche la Beca-carni di Budrio) era finita agli onori della cronaca nel 1993, per una storia di carne avariata: il padre di Massimo Dall’Olio, anche detto “il re della fettina”, avrebbe comprato, assieme al fratello, la merce dall’Urss per rivenderla a prezzi vantaggiosi sfruttando i finanziamenti per gli aiuti umanitari della Cee.

Da mesi, il figlio Massimo, patron dei minimarket è chiuso in un silenzio stampa, e ancora a gennaio escludeva la chiusura di ciò che restava del suo prezioso patrimonio. Già interrogato dal fattoquotidiano.it a febbraio, si era limitato a un no comment: “Non voglio rilasciare alcuna dichiarazione, perché verrei mal interpretato”. 

I lavoratori però non sembrano voler demordere: lunedì alle 21.30 i sindacati hanno convocato presso la Camera del lavoro di Bologna un’assemblea con i dipendenti per decider quale strada percorrere: “In questo momento il nostro unico pensiero è quello di salvarli”, ha concluso Debora Cervi.


 

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