Raccontare chi era Maurizio non è un compito facile, ma il primo aggettivo che viene in mente a chi lo conosceva è: generoso. Generoso verso i suoi concittadini, verso il suo partito, ma anche verso i suoi avversari, verso la sua città, che amava profondamente. Ci conoscemmo una mattina come tante, due anni fa, nello studio di Punto Radio. Allora io ero una stagista fresca di università e dopo una puntata di Finestra a Sinistra ci fermammo a chiacchierare di lui, della politica, di Bologna. Quando seppe che nella vita desideravo diventare giornalista mi disse “mandami qualcosa scritto da te, lo leggerò volentieri”. Entusiasta dell’opportunità che mi stava offrendo gli inviai qualche pezzo e da quel momento iniziai a collaborare con lui, scrivendo di ciò che succedeva in una città commissariata, in difficoltà, bisognosa di aiuto.

Senza sapere, ancora, che l’aiuto sarebbe giunto proprio da lui. Prima come candidato a sindaco, il sindaco della gente, o almeno avrebbe dovuto esserlo, poi come sostegno del Partito democratico, al secondo posto ma primo nel cuore dei bolognesi. Scelse Piazza Maggiore per annunciare la sua candidatura, il cuore della sua Bologna, in una conferenza stampa informale che ben presto divenne una festa fra amici, dove una piccola folla si era radunata per stringergli la mano e augurargli in bocca al lupo. “Oggi inizia il mio viaggio, quello che mi avete chiesto di intraprendere – disse ai bolognesi, come a mantenere una promessa informale stretta con la gente quando Flavio Delbono lasciò la poltrona di Palazzo D’Accursio, e tutti guardarono a lui come suo successore – E ad ogni tappa vi chiederò di accompagnarmi. Con la promessa di non cambiare mai. Perché anche questa volta, secondo una formula ormai consolidata, il Cev c’è”.

E nemmeno la malattia gli fece infrangere quella promessa. Venne ricoverato a Villalba a causa di un malore, un accesso ischemico transitorio ci raccontò il suo medico curante, il dottor Guelfi. Ma poi si riprese, e quando il Partito Democratico gli chiese di esserci per il suo successore, Virginio Merola, oggi sindaco, non rimase “a guardare dalla finestra” come in molti gli avevano consigliato di fare, no. Perché lui in disparte non ci poteva stare. Bologna aveva ancora bisogno della sua presenza rassicurante, accogliente, amichevole.

“Appoggerò il candidato che uscirà dall’assemblea cittadina del Pd, lo stesso organismo che ha indicato me” disse, e così fu. Accompagnò Merola nel corso della campagna elettorale, al suo fianco quando vinse le primarie e poi subito dopo, nella corsa per diventare sindaco. Quella stessa poltrona sui cui avrebbe dovuto sedere lui, il sindaco onorario, come gli ricordavano i suoi amici. Numerosi, migliaia anzi, tanto che alle elezioni fu il candidato più votato d’Italia, mister preferenze come lo chiamavano in città. Oltre che mister matrimoni, s’intende.

Voleva, ci disse poco dopo il suo ritiro per motivi di salute, riavvicinare la politica alla gente, ridare fiducia alla città. Scherzosamente, i suoi amici più cari sostenevano fosse ubiquo, Giuseppe Giacobazzi, Vito, Andrea Mingardi, Gianni Morandi, Danilo Masotti e tanti altri, una lista così lunga che non basterebbe un libro per scriverla tutta. Perché la sua missione era stare in mezzo alla gente, ascoltare chiunque avesse qualcosa da dire, dare una mano a chi si trovava in difficoltà. Non ha mai dato mandato a nessuno di rispondere ai messaggi, centinaia, che ogni giorno riempivano la sua casella di posta elettronica. E li leggeva tutti, anche quando era a Villalba e stava male, anche in quei “mesi amari” di rinuncia, aveva sempre qualche parola gentile da scrivere a chi lo cercava, di conforto, sempre disponibile come solo lui sapeva essere.

Con i giovani, con i meno giovani, con chiunque avesse voglia di dire la sua, lui c’era. “Il Cev c’è”, ripeteva sempre. Ha dato tutto quello che poteva a Bologna, a questa città, anche quando forse non rimaneva più nulla per se stesso. Ha amato la sua famiglia, i suoi amici e i suoi collaboratori come fossero tutte parti di un intero, di Maurizio, e ora, ora che non c’è più il vuoto che ha lasciato è inimmaginabile. Era amato da tutti, era un pezzo di Bologna così importante… eppure non sono certa che se ne sia reso conto fino in fondo. A volte, fermandoci a chiacchierare dopo un incontro, una serata, una manifestazione rimaneva sorpreso quando gli raccontavamo quanto la gente si fosse dimostrata felice di vederlo. Si illuminava, sorrideva e domandava “davvero?”.

A te Bologna, amata e bistrattata città, che resterai sempre nel mio cuore, è la dedica all’inizio di “Bologna nel cuore”, il libro scritto a quattro mani con la sua adorata Federica, sua figlia.

A te che non ci sei più, Maurizio, amico di tutti, amato e bistrattato dalla tua Bologna va tutto il nostro affetto. Non ci sono parole per dirti quanto ci mancherai, ma sappi che non ti dimenticheremo. Mai.

 

 

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