Web e dialetto romagnolo: connubio singolare ma efficace, se l’obiettivo è quello di salvaguardare le radici linguistiche di una terra. Nascerà con questo scopo un dizionario online per la tutela del dialetto romagnolo.

L’iniziativa è stata accolta dalla Provincia di Forlì-Cesena, su proposta dell’istituto Friedrich Schurr di Ravenna e dell’associazione cesenate “Te ad chi sit e’fiol?” (Tu di chi sei figlio ndr), entrambi costituitisi con lo scopo di salvaguardare e valorizzare il patrimonio dialettale.

Il nuovo dizionario sarà partecipato: gli estensori del volume virtuale saranno infatti gli utenti stessi di un sistema aperto, basato su un programma di tipo “wiki”, con il quale potranno interagire, come autori e fruitori al medesimo tempo. Ognuno, con il suo bagaglio di memoria, tradizioni e uso consuetudinario, potrà dare un contributo, inserendo nuovi vocaboli o varianti locali a quelli già classificati.

E’ già stata sottoscritta e sarà operativa per cinque anni la convenzione fra la Provincia di Forlì-Cesena e i due soggetti proponenti. Ciascuno avrà un suo ruolo specifico. L’associazione “Te ad chi sit e’fiol?” si impegna a realizzare le attività legate alla messa in linea del portale per la gestione del dizionario, inserendo una prima base di contenuti. L’istituto Friedrich Schurr svolgerà un ruolo di controllo su tutte le notizie inserite da utenti e collaboratori, per garantirne la validità. Infine, la Provincia di Forlì-Cesena, per la quale il progetto non comporta oneri specifici, si impegnerà a rendere disponibile lo spazio sul proprio sistema centrale, per mantenere fruibile nel tempo il dizionario online, curandone conservazione, backup e manutenzione hardware.

Perché un’operazione di questo tipo nel 2011? C’è chi giura non si tratti di nostalgia, o almeno non solo di quella. Lo si fa “par no scurdès la nosta lengua e ad chi sém i fiol! ” risponde il consigliere regionale dell’Emilia-Romagna Damiano Zoffoli, nato nella Cesenatico dei pescatori e del poeta Marino Moretti, uno che la cittadina romagnola la conosce bene, essendone stato il sindaco per 8 anni.

Conservare il dialetto significa salvaguardare le radici linguistiche della propria terra. Il dialetto romagnolo è una lingua dell’oralità, di un popolo semplice, agreste e autenticamente contadino. Una lingua povera, vetusta e musicale, nella quale hanno scelto di esprimersi grandi poeti del secondo Novecento; i più famosi sono quelli dell’area santarcangiolese: Raffaello Baldini, Tonino Guerra e Nino Pedretti.

Nella postfazione al suo libro di poesie “La chèsa de témp” del 1981, Pedretti rifletteva sulle origini antiche della Romagna, ultimo baluardo dell’impero romano d’Occidente: “Il cuore della Romagna è nella Romanìa, opposta alla Longobardìa da cui la separava il Limes Longobardicus, entro i confini militari dell’esarcato di Ravenna. Nell 774 d.C. quella barriera venne a cadere con la rovina del regno longobardico”. C’erano volute le truppe di Carlo Magno, chiamate da Papa Adriano I, per sconfiggere il re Desiderio e poi gli ultimi focolai di resistenza di suo figlio Adelchi. La Romagna cambiava padrone, ma manteneva i suoi tratti esclusivi che la connotarono sempre come una terra di contraddizioni, in cui poterono convivere, molti secoli dopo, ribelli libertari a fianco di clericali e socialisti.

E così il suo dialetto, “fratello umile dell’italiano” -continua Pedretti- “è vissuto all’aperto come un’erba selvatica bagnato dalla pioggia dei secoli e, come un’erba pertinace di gramigna, si è arrampicato sui monti, si è addentrato nei minimi villaggi, ha coperto ogni metro di terra dove viveva la gente comune del lavoro e dei traffici. Curioso e diffidente, anarchico e cocciuto agonista, incontrava altre parlate e come bestia sensibilissima rinculava inorridito, azzampava, faceva sortite, ma ritornava sempre con istinto animale nel suo territorio con perdite e bottini, dispensando la sua identità orgogliosa nella diaspora dei suoi borghi. Lingua selvaggia, ma tutt’altro che primitiva, anzi, a suo modo attentissima, raffinata, furba, allettante”.

Il dialetto dice cose che l’italiano non sa dire perché non gli appartengono: in dialetto hanno una loro denominazione, e pertanto esistono, oggetti della vita rurale sconosciuti all’urbanitas della lingua comune a tutto il Paese. Anche in questo trova una sua giustificazione, se mai ne avesse avuto bisogno, l’iniziativa della Provincia di Forlì-Cesena.

Quando scompare una civiltà la sua lingua orale è destinata alla stessa fine. Per i bambini di oggi, che crescono in città senza sapere com’è fatto un pollo ma con lo smart phone del babbo in mano, cimentarsi nel dialetto sarà forse solo un gioco un po’ bizzarro. E allora vi ricorreranno, forse, chattando in facebook. Resusciteranno una lingua che odorava di terra e sudore. Sarà un artificio probabilmente, ma si saranno avvicinati, almeno un poco, al mondo dei loro nonni.

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