Catturato vivo e poi ucciso con un colpo di pistola alla tempia. Quando ormai per lui non c’era nessun altro posto dove nascondersi. Sono passate solo 24 ore dall’uccisione di Muammar Gheddafi a Sirte ma le polemiche sulle circostanze della sua esecuzione si trascineranno a lungo. L’Onu e Amnesty International hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta. Gli Usa sostengono che serve “trasparenza”, mentre Russia e Sudafrica – e non sono le sole – hanno criticato la dinamica della sua cattura e quindi l’uccisione. Anche e soprattutto a causa delle immagini e dei video che hanno fatto il giro del mondo. Immagini cruente che mostrano gli ultimi istanti della vita del colonnello poco dopo l’attacco della Nato che ha bombardato il convoglio sul quale viaggiava. Braccato dai ribelli, il rais ha cercato un’ultima disperata fuga dentro un cunicolo di cemento per la condotta dell’acqua, ma è stato catturato subito. Le immagini che rimarranno nella storia mostrano il suo corpo insanguinato, dopo essere stato calpestato e strattonato. Poi si odono i colpi di pistola ed è visibile il foro alla tempia, quello che ha messo la parola fine a 42 anni di dittatura, come ha confermato anche il medico legale.

Sulle circostanze della morte del rais ci sono almeno cinque versioni e oggi l’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha auspicato un’indagine. “C’è bisogno di un’inchiesta”, ha detto a Ginevra il portavoce, Rupert Colville. “Maggiori dettagli – ha detto – sono necessari per stabilire se Gheddafi è stato ucciso durante gli scontri (come continua a sostenere il Cnt, ndr) o se è stato giustiziato dopo la sua cattura”, come pare evidente dalle immagini. Quelle stesse immagini riprese con i cellulari quando il rais era ancora vivo e dopo la morte “messe insieme sono inquietanti”, ha aggiunto Colville.

Una posizione condivisa anche da Amnesty International che oggi ha invitato il governo libico ad indagare sulla morte di Gheddafi avvertendo che “se il presidente deposto è stato ucciso dopo la sua cattura questo costituirà un crimine di guerra”, mentre il presidente sudafricano Jacob Zuma ha espresso rammarico per la morte del colonnello, sostenendo che doveva essere processato dalla Corte penale internazionale.

Più duro il commento del ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, secondo il quale il rais doveva essere trattato come un prigioniero di guerra. Lavrov punta il dito contro la Nato, sostenendo che il convoglio sul quale viaggiava Gheddafi non minacciava nessuno quando è stato attaccato dall’Alleanza. La replica della Nato non si è fatta attendere e in un comunicato riassume la dinamica dell’attacco di ieri: “Sono stati bombardati 11 veicoli e in uno di questi c’era anche Gheddafi, ma la Nato non lo sapeva”, sostiene l’Alleanza. “Gli 11 veicoli facevano parte di un corteo di 75 auto che si aggiravano dentro Sirte nel tentativo di fuggire. Uno di questi veicoli viaggiava con una sostanziale quantità di armi e munizioni che sicuramente ponevano una minaccia alla popolazione civile”.

Tant’è. Anche secondo gli Usa sulla morte di Gheddafi occorre fare “trasparenza”. “Nei prossimi giorni dovrebbero arrivare maggiori dettagli”, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, sottolineando come l’amministrazione Obama auspichi “un trattamento umano per i prigionieri”, i fedeli del rais caduti nelle mani dei ribelli.

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