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Niente chemioterapia: “Non ha permesso di soggiorno”. Ucraina in fin di vita

La donna non è clandestina, quindi non ha il diritto delle cure urgenti. Ma al tempo stesso non può lavorare. L'avvocato: "La burocrazia la sta uccidendo, un paradosso della legge. E la mia assistitta non ha i 4000 euro necessari per il primo ciclo di cure"
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Dopo esser stata operata di tumore deve fare una cura salva-vita. Il costo del ciclo di chemioterapia prescritto dal medico è di 4mila euro. Ma lei, 63enne ucraina disoccupata, non può permetterselo. E non può lavorare, perché non ha il permesso di soggiorno adatto.

Rischia di morire per colpa di un’ottusa burocrazia una donna la cui unica colpa è avere scoperto di essere malata mentre era in Italia. Nel nostro paese era entrata regolarmente un anno fa con un normale visto turistico. Qui le viene scoperto, dopo un controllo per un dolore che avvertiva a livello della mandibola, un carcinoma. nell’ospedale Sant’Orsola a Bologna, dove vive come ospite di una casa di accoglienza, viene operata. A questo punto le viene concesso un permesso di soggiorno per motivi di salute.

Ora, proprio a causa di quel documento, non può accedere alle cure urgenti garantite per tutti. “Perché – spiega l’avvocato ferrarese che sta seguendo il suo caso, Sara Bruno – il genere di permesso ottenuto presuppone una copertura finanziaria, una sorta di cauzione che si rilascia per svolgere le cure a proprie spese”.

Il legale sta cercando in tutti i modi i modi di salvare la vita alla sua assistita, che ormai da più di un mese è in attesa di quelle cure vitali che dovrebbe iniziare il prima possibile per un arco di tempo di almeno sei/otto mesi. Il primo passo è stata la richiesta alla questura felsinea di trasformare il permesse da motivi di salute in motivi umanitari. Ma anche qui il buon senso ha sbattuto contro il muro delle normative sull’immigrazione. Niente da fare.

Il paradosso è tutto nella legge: nessuna norma è stata violata, né da parte della signora entrata in Italia con i crismi della legalità; né da parte delle autorità sanitarie che devono applicare il protocollo. Eppure “sarebbe stato meglio se fosse clandestina perché almeno avrebbe diritto alle cure urgenti”, allarga le braccia a questo punto il suo legale.

L’avvocato Sara Bruno però non si rassegna e promette “di far di tutto affinché lo Stato le garantisca un diritto di cui non dovrebbe nemmeno discutersi. Quello alla sopravvivenza”.

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