Mimmo Crea

Un colpo alla borghesia mafiosa. Dopo il sequestro arriva anche la confisca dei beni dell’ex consigliere regionale della Calabria Mimmo Crea, ritenuto il punto di riferimento a Palazzo Campanella della cosche Morabito-Zavettieri di Africo e Roghudi, Cordì di Locri e Talia di Bova Marina.

A pochi mesi dalla condanna a 11 anni di carcere per concorso esterno in associazione a delinquere, il politico calabrese si è visto strappare il suo impero mobiliare e immobiliare. Diversi milioni di euro il valore complessivo dei beni che sono stati confiscati dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria su disposizione della sezione misure di prevenzione del tribunale. Mimmo Crea era stato arrestato nel gennaio 2008 nell’ambito dell’inchiesta “Onorata sanità”. La confisca ha riguardato alcuni appartamenti, conti correnti, una lussuosa villa (con oltre venti vani e piscina) e la casa di cura privata “Villa Anya”. Ha retto, quindi, anche sul piano patrimoniale l’impianto accusatorio preparato dal procuratore Giuseppe Pignatone e dai sostituti Mario Andrigo e Marco Colamonici. Stando agli accertamenti dei carabinieri, infatti, vi era un’evidente sproporzione tra le entrate dichiarate dalla famiglia Crea e quanto realmente posseduto.

Crea si sarebbe servito della ‘ndrangheta e la ‘ndrangheta si sarebbe servita di Crea il quale, negli anni, prima avrebbe usufruito degli appoggi forti, seppur limitati territorialmente, del clan Iamonte e poi di quelli, di maggiore peso criminale e territoriale del gruppo Morabito-Zavettieri. Proprio per questo, secondo il Tribunale, anche gli emolumenti della Regione Calabria al consigliere regionale sarebbero da intendersi illeciti.

Nel provvedimento con cui il Tribunale aveva disposto il sequestro dei beni era emersa la figura di Crea come espressione di quella zona grigia che consente alla ‘ndrangheta con la coppola di infiltrarsi nei palazzi della politica: “Un soggetto che ha scelto di intrecciare permanenti legami con ambienti mafiosi, intravedendo in ciò un formidabile trampolino di lancio per le sue ambizioni politiche. Un ulteriore elemento di riflessione deriva poi da ciò che il Crea pare aver fatto nelle varie occasioni in cui, ottenuti i successi elettorali inseguiti così spasmodicamente, è poi asceso nell’olimpo dell’amministrazione regionale. Il Crea politico ed amministratore non sembra neanche un po’ attratto dall’interesse pubblico e non cessa neanche per un attimo il suo ruolo predatorio, finendo ad esempio per appropriarsi delle laute contribuzioni che il Consiglio regionale stanzia a favore del gruppo consiliare di cui egli stesso è magna pars”.

Un profilo inquietante per quello che è stato definito dai magistrati “l’uomo per tutte le stagioni”. Sarebbe stato lui, secondo gli inquirenti, a garantire quelle connivenze che da anni caratterizzano la gestione delle strutture ospedaliere e delle aziende sanitarie nella provincia di Reggio Calabria.

Una prima verità è venuta fuori dalla sentenza di primo grado. Al centro delle indagini c’era la nascita della clinica privata “Villa Anya”. Una casa di cura che, sulla carta era gestita dalla moglie e dai figli dell’ex consigliere regionale. Di fatto, però, era Mimmo Crea il “dominus” della struttura sanitaria che sarebbe nata grazie alle “entrature” del politico alla Regione Calabria.

Su Villa Anya i giudici del Tribunale della Libertà avevano confermato che «oltre a costituire proficuo bacino di affluenza di introiti elevatissimi, rappresenta lo strumento indispensabile, nell’ottica del politico Crea, per l’elargizione (e la restituzione) di favori e per la raccolta di consensi elettorali». Uno strumento che adesso è di proprietà dello Stato.

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