Dal primo marzo chi ha un abbonamento Telecom adsl potrà subire il rallentamento della connessione in caso di congestione del traffico. Quali servizi saranno penalizzati? Il peer to peer e file sharing, ovvero i più ingombranti per la banda. Il provider, però, specifica che non ci sarà alcun disagio per lo streaming, youtube, email e social media. Una decisione quella di Telecom che altri isp, fra cui Wind e TeleTu, hanno già adottato; ma, a differenza degli altri fornitori, l’azienda in questione è proprietaria della rete nazionale.

L’obiettivo è “garantire l’integrità della rete e il diritto per tutti i clienti ad accedere ai servizi di connettività Internet anche nelle fasce orarie in cui il traffico dati è particolarmente elevato”, ma la decisione di Telecom solleva il dibattito sul rispetto della net neutrality, principio secondo cui la Rete dovrebbe garantire parità di trattamento agli utenti, l’urgenza di un garante e la possibilità che quanto oggi sul web è gratuito, domani possa essere a pagamento, dai servizi di Voip all’uso dei social media.

Tra possibili scenari di ostacoli al p2p e la promessa di “più banda per tutti”, la Rete è spaccata, come conferma Peter Kruger, tra gli ideatori di Agenda digitale.org, l’appello alla politica per una strategia del Web: “Alcuni firmatari sono critici, altri la sostengono come lo stesso amministratore delegato Franco Bernabè. A prescindere da chi è favorevole o contrario, il tema non può essere valutato solo da un panel di tecnici e deve trovare rilevanza istituzionale”, commenta Kruger.

Favorevole alla decisione di Telecom è Stefano Quintarelli, informatico tra i pionieri nella introduzione commerciale di Internet, perché risponde alla carenza di infrastrutture: “In italia il 20% delle centrali, che riguarda meno del 10% della popolazione, non è in grado di far fronte alle esigenze di traffico ed è possibile che, quando la banda è sovraccarica, altri non riescano a connettersi”. Il provvedimento, dunque, non sarebbe legato a nessuna volontà di limitare il file sharing. Il problema, piuttosto, è che solo Telecom oggi possa decidere dove e come chiudere il traffico e che, in assenza di fibra ottica, la scarsità non possa essere risolta. “La fibra potrebbe costare milioni di euro per ogni centrale: per Telecom sarebbe antieconomico investire e l’importo degli abbonamenti diventerebbe insostenibile”, spiega. “In mancanza di strutture idonee, l’unica soluzione è limitare l’accesso per consentirlo a tutti. Non dovrebbe però essere l’isp a decidere chi deve rallentare, ma un’autorità pubblica. Mi auguro che l’azienda sia trasparente con gli utenti sulle limitazioni che intende applicare”.

La scarsità delle infrastrutture causa però una violazione della net neutrality, anche se dettata da ragioni economiche. “L’ideale sarebbe che la rete nazionale fosse dello Stato ma, visto che è privata, sarebbe illiberale costringere Telecom a implementare la fibra ottica”, conclude Quintarelli. Rimane comunque a discrezione dell’isp determinare come e quando rallentare la navigazione e l’assenza di norme precise a livello europeo complica il quadro per la tutela dei consumatori. Infatti a Bruxelles la regolamentazione è stata fissata dal Telecoms Package che chiede ai provider di essere trasparenti sulle politiche di gestione del traffico. Ma le maglie della normativa sono troppo ampie e non chiariscono il limite che può essere imposto ai servizi. Per questo la BEUC, l’organizzazione dei consumatori europea, ha inviato a Neelie Kroes, commissario europeo dell’Agenda digitale, l’invito a salvaguardare con più determinazione la net neutrality. Il precedente pericoloso è la Norvegia, dove il principale Isp ha deciso di privilegiare se stesso e i suoi partner nella trasmissione dei contenuti, violando il principio di concorrenza e discriminando così utenti e altri operatori. “La nostra richiesta alla Kroes – spiega Marco Pierani, responsabile dei rapporti istituzionali di Altroconsumo – è finalizzata ad evitare un caso analogo, anche alla luce di casi di blocco del Voip che sono lesioni in chiave anticoncorrenziale. Sorge inoltre un problema di pubblicità ingannevole se gli internet provider proporranno l’accesso solo ad alcuni servizi in Rete”.

Anche secondo Pierani il punto critico è il mancato investimento nella fibra ottica, obiettivo da cui siamo sempre più lontani: “Visto che Romani ha ridotto gli stanziamenti da 1,5 miliardi di euro a 100 milioni, la strada è in salita. La Rete in Italia è privata, non riusciamo a capire chi debba investire nella fibra e quanto possa essere remunerativo. Inoltre non esiste un organo terzo in grado di tutelare dagli abusi e AgCom e Antitrust non sono in grado di agire alla stessa velocità con cui si muove il web”. Il sogno è di una Rete pubblica che nel nostro paese, tuttavia, è privata. Sarebbe anche auspicabile come aveva dichiarato Bernabè, che i content provider grandi e i social network, da Google e Facebook, contribuissero agli investimenti come equo compenso per le infrastrutture che usano. E che dall’Europa arrivasse una regolamentazione più stringente affinché, conclude Pierani, “Internet sia un valore per il consumatore e un’opportunità per il business, supportato da una politica trasparente degli Internet provider controllati, magari, da un organo terzo”.

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