Nell’anno europeo della lotta alla povertà, non passa a Strasburgo la richiesta di una Direttiva comunitaria sui redditi minimi in tutti i 27 Paesi UE. Decisivo il voto contrario dei Popolari che si sono opposti all’iniziativa di socialisti, verdi e sinistre. Ad eccezione di Vito Bonsignore, gli europarlamentari di Pdl e Udc hanno votato contro. Via libera invece dagli esponenti di Pd e Idv.

La bocciatura da parte della maggioranza degli esponenti italiani suona ancora più paradossale alla luce che il nostro paese, assieme alla Grecia, è l’unico Paese UE a non prevedere nessuna legge sui redditi minimi.

Il testo che è passato all’europarlamento consiste in una tiepida richiesta alla Commissione di “raccomandare” l’introduzione del reddito minimo nei vari ordinamenti nazionali, vista la sua riconosciuta importanza nella lotta alla povertà e nell’assicurazione di standard di vita minimi a tutti i 500 milioni di cittadini europei.

Con reddito minimo si intende generalmente l’importo indispensabile affinché un individuo non scenda sotto la soglia della povertà. A livello europeo si calcola che ammonti al 60% del reddito medio del Paese di riferimento. Secondo l’Eurostat (Ufficio Statistico delle Comunità Europee), circa 85 milioni di persone in Europa si trovano a rischio indigenza (il 17% del totale). Il tasso di povertà più elevato lo si riscontra tra bambini e giovani minorenni (20%) e tra gli over 65 (19%). Un peggioramento non da poco visto che nel 2005 la percentuale totale era del 16% e nel 2000 del 15%, anche se allora l’UE era ancora composta da “solo” 15 paesi. Infatti gli indici peggiori si registrano negli stati dell’Est: Romania 23%, Bulgaria 21%, Estonia 19%.

Male l’Italia, che con il suo 19% si stacca dai Paesi più ricchi come Danimarca e Svezia 12%, Francia 13% e Germania 15%. Riguardo al “tasso di privazione materiale” i dati di casa nostra vanno anche peggio: il 40% della popolazione non può permettersi una settimana di ferie all’anno, l’11% un riscaldamento adeguato per la casa e il 3% un’automobile.

Ma la vera novità riguarda i poveri tra chi un lavoro ce l’ha: circa 19 milioni di lavoratori. Lavoro precario e salari bassi sono le cause principali. In Italia parliamo del 9% dei lavoratori, una cifra che fa sorridere se confrontata con il 17% della Romania ma piangere con il 5% del Belgio e dell’Olanda.

Al contrario del nostro paese, in europa si trovano efficaci esperienze di reddito minimo. Come in Spagna, dove la “Renta básica” viene amministrata dalle comunità autonome in base alla disponibilità di bilancio. In Inghilterra il programma si chiama “Minimum income” e recentemente è stato adottato un piano denominato “No second night out” il cui scopo è eliminare definitivamente il problema dell’indigenza entro il 2012. Nel frattempo in Italia le persone che rischiano di finire per strada sono sempre di più. Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi persone senza dimora conferma l’emergere di tre profili di indigenti che bussano sempre più spesso alle porte delle mense pubbliche e delle associazioni caritatevoli: padri di famiglie numerose a basso reddito, anziani con pensioni sociali e giovani uomini divorziati che vivono da soli.

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